Cosa non è successo in questo mese. Il morale è indubbiamente a terra e il parlare degli argomenti che più ci piacciono è diventato difficile, stancante. Tutto pesa il triplo sul groppone di generazioni già ampiamente vessate da diseguaglianze sociali, insicurezza lavorativa, da un futuro incerto e da una pandemia globale. Anche per noi è stato così, ci siamo sentit* sopraffatt*.
Parlare di videogiochi quando un governo dittatoriale invade uno stato libero e zittisce il dissenso nei suoi confini sembra inopportuno. O forse si può e l’arte, il videogioco, può essere il veicolo espressivo capace di raccontare l’orrore della guerra, la bellezza della diversità e capace di essere l’ariete con cui abbattere l’ignoranza e le barriere che continuano a dividerci.
In questa nuova puntata di Still Alive proviamo ad abbattere queste barriere, parlando di accessibilità. Per provare a rendere i videogiochi uno spazio virtuale più attento e accogliente per tutt*. Oltre ai nostri pezzi, potrete trovare il consiglio indie di Massimiliano Di Marco, con il quale abbiamo stretto una collaborazione intrecciando la sua newsletter Insert Coin con la nostra. Ma potrete trovare anche un pezzo di Emanuela “Rowan” Chiarello, un* nostr* collegh* di Niente da Dire che ringraziamo per la condivisione della sua esperienza con quelle barriere virtuali che l* impediscono di videogiocare determinate opere.
Ma questa puntata è importante anche per un altro motivo. Esattamente un anno fa, la prima puntata di Still Alive arrivava nella vostra casella di posta. Trasportata a fatica da quel povero gabbiano che, purtroppo, ha perduto al compagna. Dispiace eh, ma comunque siamo qui! In questo editoriale teniamo a ringraziare Camilla Fasola, che con il suo tratto ha arricchito questa newsletter, Matilde, che da un anno e nell’anonimato corregge tutti i testi e ci sgrida quando opportuno, e il Rinoceronte, che mi ha aiutato pazientemente nella scelta del titolo “Still Alive”. Un grazie anche ad Ilaria che, da settembre, fa parte di questo progetto; come direbbe il compagno Bugs Bunny, il NOSTRO progetto.
Auguri Still Alive, al tuo primo anno di vita!
Avete mai letto il primo episodio? Se vi piace il vintage, accomodatevi.
I videogiochi come escapismo
Spesso mi domando che cosa mi spinge ad accendere il mio PC per videogiocare. Non è soltanto lo svago o l’intrattenimento, ma per me rappresenta una vera e propria fuga dalla realtà e dalla società. Per molte altre persone potrebbe essere lo stesso, un tentativo di fuggire da una realtà in cui continuamente vi sono discriminazioni di ogni tipo, richiesta costante di performance e responsabilità. I videogiochi sono, o quantomeno dovrebbero essere, un luogo sicuro, in cui essere chi vogliamo e in cui possiamo vivere esperienze mozzafiato in grado di cambiarci e di accrescere la nostra cultura. L’ambiente online, inoltre, è potenzialmente un luogo dove abbiamo tutt* degli avatar e avviene un processo di socialità incredibile tra gli utenti.
Non è però un luogo sicuro per tutt*. Perché come nella società contemporanea e nell’urbanistica cittadina esistono tuttora stigmatizzazione e barriere architettoniche insormontabili per soggetti con disabilità, anche nello spazio ludico queste barriere vengono perpetrate.
L’accessibilità è pian piano un concetto che sta entrando nella coscienza collettiva dei videogiocator*. Organizzazioni non-profit come Able Gamers, che in questi anni ha fatto advocacy e consulenza a tantissimi progetti videoludici, sono indispensabili per portare all’attenzione delle aziende e del pubblico la presenza di un bias abilista notevole, che esclude tantissime persone dalla possibilità di integrazione sociale che i videogiochi permettono, ancora più necessaria in questi anni di pandemia.
Il problema può quindi riguardare la struttura nel design di gioco, ma anche nelle periferiche con le quali ci interfacciamo all’esperienza. Microsoft negli ultimi anni ha collaborato con Logitech per creare una periferica adattiva per persone con disabilità. Il controller può essere personalizzato a piacimento dall’utente, per rispondere alle sue necessità. Il Logitech Adaptive Controller è un primo passo avanti, ma il lavoro da fare è ancora molto. Ad aggiungersi a questa partita è anche una giovane start-up irlandese, la ByoWave. Questa piccola azienda sta sviluppando un controller montabile, un po’ come un LEGO, per adattarsi alle necessità delle persone con disabilità. Il loro ByoWave Proteus, al momento, è in fase di beta, ma rimane comunque un progetto incredibilmente ambizioso e degno di nota.
Volgendo lo sguardo ad alcuni prodotti acclamati per il proprio design accessibile, troviamo Forza Horizon 5, il simulatore di guida creato da Playground Games. Il team di sviluppo ha avuto incontri e workshop di aggiornamento con persone con disabilità, per riuscire a comprendere quali fossero gli ostacoli ad impedire una fruizione fluida della loro opera. In un nuovo update gratuito hanno, infatti, aggiunto la lingua dei segni, sia quella americana che britannica. Ma questi sono solo gli ultimi arrivati di una lunga lista di opzioni già presente in fase di lancio.
Da persone temporaneamente abili che lavorano nell’industria, che sia giornalismo o sviluppo, come si può prendere più consapevolezza su queste tematiche? Nel giornalismo è importante riconoscere il proprio bias e cambiare la propria prospettiva, cominciare a prestare attenzione anche a queste tematiche e alle necessità di una larga fetta di giocator*. Ascoltare, leggere e informarsi. E non lo sto dicendo con tono perentorio, anzi è una questione che riguarda anche me. Scrivo queste parole per ricordare a me stesso di informarmi e ascoltare maggiormente queste tematiche.
Molti giocator* con disabilità, spesso, si sentono esclusi dal contenuto più diffuso sul web, la recensione. Come possono sapere se un gioco ha una struttura che si avvicina alle loro necessità? Il sito Can I Play That è, al momento, una delle uniche fonti giornalistiche in cui scrittor* con disabilità recensiscono videogiochi sotto diversi punti di vista, che siano disabilità visive, motorie, cognitive ecc. La lettura dei loro pezzi, anche se presenti unicamente in lingua inglese, è importante ai fini di realizzare un lavoro più completo ed inclusivo. Per coloro che, invece, lavorano nell’ambito dello sviluppo, l’organizzazione Able Gamers ha creato delle comode guide per sviluppare le integrazioni necessarie a diverse tipologie di disabilità. È inoltre molto utile la serie Design for Disability del canale Youtube Game Maker’s Toolkit.
Non c’è nulla di più straziante del sapere che una persona, a causa di queste barriere virtuali, non è riuscita a godere di un’esperienza che per noi è incredibile. Questo perché il videogioco è escapismo dalla realtà, ma è anche un’esperienza collettiva, di condivisione di emozioni e di discussione. Prendere parte a questa discussione non può che fare del bene al nostro medium preferito, può farlo crescere e maturare. È una nostra priorità renderlo il più accogliente possibile.
Fonte: gameindustry.biz, GeekIreland, AbleGamers, ByoWave, Can I Play That.
Attenta al palo!
Ogni mattina apro gli occhi e il mondo si svela a me solo due metri alla volta. Afferro gli occhiali dal comodino, con la stessa grazia e precisione del rampino di metallo che c’è nelle macchinette per la pesca dei peluches, li indosso e tutto di colpo si sblocca, e posso cominciare a camminare senza temere porte o mobili che appaiono in prossimità della mia faccia.
Vorrei poter dire di non essere mai andata contro un palo di metallo da ragazzina, prima di capire che forse – forse – avevo bisogno degli occhiali da vista, ma ecco…
Così come mi è capitato di rinunciare ad andare al cinema perché sapevo che avrei visto tutti i contorni delle figure sfocate. Stesso discorso per i videogiochi, anche se lì era più perché finivo per tenere lo schermo a pochi centimetri dal viso, con conseguente classico rimprovero genitoriale “ti rovini la vista”, prima di capire che stavo così perché già non ero un falco.
Fatica a leggere, difficoltà nel riconoscere i volti, concentrazione che nemmeno ve lo sto a dire quanto poca era (anche se non è che ora sia migliorata, eh. Ma questo è un altro discorso), etc…
Insomma, prima di mettere gli occhiali qualche problemino ce l’avevo, e non era dovuto alla scarsa autostima o a traumi adolescenziali. Per quelli c’era ancora tempo.
Ma io ho potuto mettere gli occhiali. Ho avuto questo privilegio. Non solo perché i miei genitori si sono potuti permettere una visita oculistica e le lenti più adatte per farmi camminare dritta, ma anche perché vivo in un sistema sociale che permette a chi ha problemi di miopia, astigmatismo, presbiopia & Co. di ottenere un paio di occhiali. Grazie a questo, io vivo come persona abile, perché la mattina metto delle lenti sul naso.
Perché è questo che rende le persone abili o disabili: la società. L’ambiente e la società in cui siamo inserit*. Nel momento in cui le funzionalità fisiche, sensoriali, intellettive o cognitive della persona si vanno a incontrare con l’ambiente e con la società, lì emerge il fattore biopsicosociale che è la disabilità. Se la società è costruita in modo tale da riuscire ad accogliere le differenti caratteristiche di ognuno, risultando così inclusiva, allora la disabilità non sarà svantaggiosa per l’individuo.
Lo stesso discorso – visto che siamo su Still Alive – lo possiamo fare per il mondo del gaming.
Il 12 marzo si terrà la seconda edizione degli Accessibility Award: un evento che va a premiare i giochi per il loro operato in fatto di accessibilità. Leggendo la lista delle nomine sono rimasta a bocca aperta. Il premio per il gioco che “dà ai giocatori un secondo mezzo o un'interfaccia per ottenere le informazioni di cui possono aver bisogno per progredire”, o che “permette ai giocatori di diminuire la quantità di riduzione di input necessaria per intraprendere con successo una sequenza di azioni richieste dal gioco”, o che dà all* giocator* un luogo per allenarsi fuori dal tempo e dallo spazio di gioco, e altro ancora.
Io non avevo mai pensato che elementi di questo tipo potessero rendere il gioco accessibile a persone con disabilità. In quel sistema di bias che sono dannatamente difficili da riconoscere e cacciare via, da persona abile quale sono non avevo mai pensato che ci sono giocator* che necessitano di un luogo apposito per prendere confidenza con le meccaniche, o che sia fondamentale permettere di saltare sezioni di gioco perché potrebbero non essere giocabili da tutt* per vari motivi.
Come al solito, quando prendo coscienza di miei pensieri o atteggiamenti discriminatori, mi sono sentita uno schifo. E va bene così. Va bene sentirsi uno schifo, perché è uno schifo. Ciò che posso fare ora è – oltre al seguire gli Accessibility Award questo sabato – continuare ad ascoltare giocator* con disabilità, leggere le loro recensioni, informarmi e imparare su cosa si potrebbe fare per permettere a tutt* di vedere i pali di metallo prima di sbatterci contro.
A tal proposito, vi lascio qui sotto qualche nome di attivit* e divulgator* che parlano (tra le varie cose o principalmente) di disabilità. Non sono strettamente legat* al mondo del gaming, ma dalle loro parole ho veramente imparato tantissimo, e non posso che consigliarvel*:
Fonte: IGN, Able Gamers.
Ho esagerato di nuovo
È iniziato con me che mi lamento, come al solito.
E dopo averlo ripetuto allo sfinimento a vari amici per mesi, sfortunatamente è arrivato il turno di Damiano. Adesso eccomi qui, posso lamentarmi con tutt* contemporaneamente, conveniente eh?
Ho sempre avuto una passione per i videogiochi, disabile e in un posto con servizi pubblici pressoché inesistenti, mi hanno sempre dato la possibilità di fare tante cose che non potevo e non posso fare. Questo finché ho continuato a giocare a giochi principalmente pensati o per i bambini, o dal design tendente al cartoonesco. Poi sono arrivati più cross-platform, ed è diventato problematico.
Non che prima avessi a disposizione del testo facilmente leggibile per la maggior parte del tempo, né tantomeno una sintesi vocale integrata. Ma i cross-platform nel corso degli anni, tra l'esigenza di adattarsi a sistemi completamente diversi e la spinta verso un certo standard di UI (n.d.r. User Interface - Interfaccia Utente), hanno fatto in modo che, nonostante tutti gli sforzi, la stragrande maggioranza dei giochi per adulti abbia una UI piccola, affollata, e dalle caselle di testo praticamente inutilizzabili per una persona ipovedente.
Pochissimi giochi, persino tra i tripla-A, hanno modo di aumentare lo scaling, per non parlare di cambiare direttamente le dimensioni del testo.
Gli indie hanno ovviamente molte più difficoltà nell'inserire funzioni extra, se possibile vengono aggiunte in seguito se c'è abbastanza richiesta e modo di metterle in pratica, il che rende il lavoro molto più lungo in quanto spesso è tutto da rifare. Stardew Valley ha introdotto funzioni di scaling e modifica della dimensione del testo solamente l'anno scorso.
Ma le grandi case videoludiche non hanno motivo per non darci modo di riuscire a leggere cosa c'è sullo schermo, e quindi di riuscire effettivamente a giocare. Quindi perché è ancora un problema? I devkit dovrebbero fornire opzioni per l'accessibilità da integrare in partenza.
Ma si punta molto all'estetica, una UI grande, con indicatori chiari e visibili, è "sporca" e inelegante e nessuno nemmeno ci prova a considerarla, neppure come opzione secondaria. Tutt* vogliono nascondere tutto, ma se a qualcuno serve, che si fa? Semplice, quelle persone non giocheranno e nulla cambierà nella vita di tutti i giorni, è una cosa che può essere lasciata indietro e dimenticata. Noi possiamo essere dimenticat*, tanto mica abbiamo bisogno di divertirc*.
Ovviamente per me il focus è sulle accessibilità a livello visivo, ma ancora si fa molta fatica in altri ambiti, dal motorio all'uditivo, persino in ambito neurologico, dato che a quanto ne so non è possibile disattivare del tutto luci ed effetti che potrebbero disturbare soggetti fotosensibili.
I videogiochi sono uno dei pochi mezzi che sono più facilmente fruibili e forniscono libertà letteralmente impensabili per una grossa parte della popolazione, perché hanno quasi più barriere della nostra vita quotidiana?
di Emanuela “Rowan” Chiarello, Niente da Dire.
The Vale mi ha aperto gli occhi
Una cosa che i videogiochi non erano mai riusciti a fare – per me, almeno – era portarmi al di là di ciò che stavo vedendo. Di ciò che, in sostanza, l* sviluppator* aveva deciso di farmi vedere.
The Vale: Shadow of the Crown è stata la risposta alla mia esigenza.
Realizzato da FallingSquirrel, The Vale appartiene al filone dei giochi solo audio; quei giochi, cioè, che sono accessibili anche all* ipovedenti e all* non vedenti perché per essere fruiti basta ascoltare il gioco e premere alcuni tasti. Il gioco sfrutta quindi l’audio binaurale (ergo è straconsigliato usare le cuffie) per aiutare l* giocator* a muoversi, mentre impersona l* figli* di un re che viene inviat* ai margini del regno per diventare guardian* di un castello minore. Come si può immaginare, le cose saranno un po’ più complicate di così.
Le meccaniche sono semplificate, ma riescono comunque a essere soddisfacenti. I combattimenti, per esempio, prevedono che l* protagonist* sia ferm* mentre para, contrattacca e deflette le frecce; ma riescono comunque, insistendo su un certo ritmo di esecuzione, a offrire un buon grado di sfida.
The Vale mi ha stupito perché tenendo chiusi gli occhi (basta usare qualche tasto sulla tastiera per avere l’esperienza completa) mentre sentivo i suoni, combattevo ed esploravo i villaggi la mia mente ricreava il mondo, le azioni, l* personagg*. Stavo vivendo una fantasia che sarebbe stata solo mia: perché le altre persone che lo avrebbero giocato, avrebbero ricreato quella immagine in un altro modo. Un po’ come per i libri, The Vale stuzzica la fantasia in un modo molto personale e, per certi versi, travolgente.
Sviluppatore: FallingSquirrel, Creative Bytes Studios
Editore: FallingSquirrel
Disponibile su: Steam, Epic Games Store, Itch.io, Xbox
Durata: 6 ore
di Massimiliano Di Marco, Insert Coin
“Mobile-Gaming: perché dovremmo occuparcene e ignorare il gatekeeping dei nerd” di Sara Silvera Darnich. Un’analisi sul mobile gaming, tra pegiudizi, gatekeeping e diffusione di massa della cultura del gioco durante la pendemia. Sara Silvera Darnich parla della tossicità della community nerd e delle sfide degli educatori professionali.
“OlliOlli World riporta la cultura dello skateboard al suo grado politico” di Luca Parri. Il nuovo videogioco di skateboard di Roll7 è un gigantesco omaggio alla Skate Culture, cercando di ritrovare la retta via e di incarnare nuovamente un messaggio politico sovversivo. Luca Parri firma per Stay Nerd un articolo di approfondimento sull’importanza sociale e politica di OlliOlli World.
“De Critica Eloquentia” di Francesco Alteri. Su Gameromancer, Francesco Alteri discute sullo stato attuale della critica e della sua utilità, ma allo stesso tempo della sua inutilità. Il destino sembra essere segnato e catastrofico, per la mancanza di amore per ciò di cui si parla.
“Frammenti dell’Interregno – Diario di Viaggio di Elden Ring #1” di Marcello Cascio. Il sistema delle recensioni ha giganteschi problemi, trovare alternative per raccontare le proprie esperienze di gioco è ardua in un web dominato dal SEO. Marcello Cascio racconta su Cinewriting del suo viaggio nell’Interregno, ma come se fosse un diario, il racconto del suo personaggio e delle sue avventure.
Qui parliamo male degli NFT
E anche questo mese siamo riuscit* a spuntare nella vostra casella mail. Saremo sincer*, non è stato facile. Scrivere non è un atto semplice, e gli avvenimenti delle ultime settimane ci hanno fatto capire che anche solo parlare può richiedere una fatica enorme. Ma anche il silenzio, paradossalmente.
Oggi è però il compleanno di questa nostra sgangherata newsletter e due persone splendide e dalla voce titanica hanno accettato di apparire qui con noi. Quindi, Camogli alla mano (e caffè nell’altra) e cerchiamo di sostenerci tutt* insieme.
Ringraziamo ancora Massimiliano Di Marco per questo crossover tra le nostre newsletter! Se ancora non vi siete iscritti a Insert Coin, disonore su di voi e sulla vostra mucca!
Grazie infinite anche a Emanuela “Rowan” Chiarello. Vedere il suo nome qui insieme a noi ci scalda il cuore!
Non perdeteci di vista perché le novità non si faranno attendere!
Damiano: ma che stai a dire?
Ilaria: shhhh, bisogna creare aspettativa.
Damiano: ma per il momento non abbiamo nulla di nuo…
Ilaria: MI RACCOMANDO seguiteci sul nostro canale Telegram e sui nostri profili Instagram! A richiesta siamo disposti anche a rilasciare i nostri iban. Grazie di supportarci e di sopportarci, un giorno presenteremo il conto, e solo in quel momento potrete urlare: facciamo alla romana!
Damiano: ma quella è la mia battuta!
Ilaria: a presto!