La “frat culture”, o “frat boy culture”, o ancora “cultura della confraternita”. Da quando sono venute alla luce tutte le testimonianze di abusi, violenze e discriminazioni riguardanti Activision-Blizzard, questi termini ricorrono in ogni singolo articolo ne accenni anche solo vagamente il nome. Eppure, ho come l’impressione che paiano lontani, come qualcosa di appartenente a un sistema sociale e culturale che noi non conosciamo e di cui non abbiamo esperienza. La “confraternita”, la “frat culture”, sembrano qualcosa di così distante, di così diverso.
Le dichiarazioni e le denunce raccolte sono innumerevoli, e spaziano dalla marginalizzazione delle impiegate donne, alla loro minore retribuzione rispetto ai colleghi uomini nelle medesime posizioni lavorative, e da violenze psicologiche ad atti persecutori. Il tutto fino ad arrivare a condivisione di materiale intimo senza consenso e stupro, e al suicidio di una dipendente.
Questa non è solo “cultura della confraternita”, questa è “cultura dello stupro”, in ogni suo minuscolo tassello. Ma definirla così sembra quasi che faccia paura a chi tratta dell’argomento, come se si temesse di urtare la sensibilità e il nome di chi è sotto accusa, o di chi sta leggendo. Dopotutto, è quasi bello immaginarsi le aziende come confraternite, no? Con un gruppo di geni un po’ ribelli che tenta di riprendersi da una sbronza correggendo il caffè - con un gesto di trita ironia -, il tutto ammirando lo stacco di coscia della nuova arrivata in ufficio, mentre la voce del capo li chiama dal corridoio, trafelato. Ma il tutto con amicizia, goliardia, qualche sketch comico e delle sane battute sulla grandezza del proprio pene.
Dopotutto, boys will be boys, e a chi importa se in questi casi le donne vivono l'ambiente di lavoro con una costante sensazione di angoscia, di paura, con la guardia sempre vigile e con l'incubo di vedere ogni loro singola azione come una carta da usare per essere ricattate e abusate? Perché è giusto che questi uomini possano godersi l'ambiente lavorativo come meglio gradiscono. Sticazzi i diritti altrui, no?
Si parla di cultura perché si intende proprio un insieme di valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di comportamento, e anche di attività materiali, che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale. È un sistema che presenta delle basi solide, che partono da una stereotipizzazione dei sessi (quindi da una banalizzazione dell’individuo), e che vedono l’uomo in una posizione di superiorità e di potere sulla donna. Quei comportamenti che vengono definiti “da confraternita”, non sono altro che meccaniche da branco, dove i cacciatori devono mantenere il proprio status rispetto alle prede. Questo avviene tramite la creazione di ostacoli, la formazione di un ambiente in cui la “preda” non possa sentirsi libera o al sicuro, ma sempre osservata, giudicata, insultata, valutata in base al piacere di chi manifesta questo potere su di lei.
Ogni tentativo della donna di mostrarsi indipendente e per nulla intimidita verrà gestito con atteggiamenti di “stigmatizzazione”, come per esempio lo slut shaming – letteralmente, lo “stigma della puttana”, colpevolizzandola per determinati comportamenti, desideri sessuali, stili di vita, o per come si veste o si esprime, questo perché colpevole di trasgredire ai codici patriarcali che la vogliono sottomessa e ligia alle regole di comportamento imposte –, fino a sfociare nel suo culmine con la violenza fisica e il femminicidio.
Quella “frat culture” o “frat boy culture” non è qualcosa di lontano, di isolato o di anomalo: è culturale, e ognun* di noi ci è cresciut* dentro. Non è facile puntare il dito contro qualcosa che si è sempre ritenuto indiscutibile, o che, addirittura, nemmeno sapevamo avesse una forma definita, perché sempre stato così, cristallizzato, etereo. Ma direi che iniziare a comprendere il significato e il peso delle parole quando si decide di trattare di questi temi potrebbe essere un bel punto di partenza.
Se volete approfondire l’argomento, vi consiglio Maledetta sfortuna, di Carlotta Vagnoli. Non mi viene in mente libro più chiaro, semplice e completo su questo argomento.
Questo articolo è stato pubblicato a dicembre su Still Alive, uno sguardo differente