Giugno è arrivato, e con lui le zanzare e la crema solare Bilboa, con i suoi fantastici gusti menta e pesca che, a oltre 20 anni d’età per ciascuno, ancora facciamo fatica a non voler assaggiare.
Nel mese passato sono successe cose meravigliose, tra cui l’Ultra Punk Festival di Gameromancer, che ci ha visto partecipare a un panel incentrato proprio sulle newsletter e tutti quei progetti rocamboleschi che cercano di raggirare il giogo dell’algoritmo. In questo panel abbiamo parlato dell’informazione nell’epoca del SEO e del ritorno di fiamma proprio dello strumento newsletter, assieme a noi anche il giornalista Massimiliano Di Marco (seguite la sua newsletter Insert Coin), che ha collaborato con noi nella puntata “Barriere Virtuali”.
Mese dopo mese, puntata dopo puntata e una nottata passata in webcam dopo l’altra, ci siamo res* conto che più di cento persone (112 per essere pignoli) si sono iscritte a Still Alive. Non abbiamo molto da dire, eccetto grazie! Grazie per la fiducia e grazie per il supporto. Nessun* di noi si sarebbe mai sognat* di toccare quel numero, che per una piccola newsletter come la nostra è incredibile, ebbene è successo.
Ci abbiamo messo un po’ a prendere consapevolezza del traguardo raggiunto, e il senso di responsabilità ha bussato nuovamente all’anticamera del nostro cervello. Vogliamo offrirvi di più in questo nostro appuntamento mensile, vogliamo continuare a crescere e a spingerci fuori dalla nostra zona di comfort. Abbiamo quindi costruito una newsletter che dà letteralmente i numeri.
Inoltre - nel nostro piccolo - abbiamo provato a dare spazio a quel grande, colorato e necessario evento che è il Pride Month.
Vi ricordiamo sempre che i disegni della newsletter sono opera di Camilla Fasola, che oltre ad essere una disegnatrice incredibile è anche una persona magnifica.
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In questi ultimi anni abbiamo assistito a diverse battaglie sindacali all’interno dell’industria videoludica. I diritti che rivendicavano hanno avuto una grande eco, facendo prendere consapevolezza all’opinione pubblica della loro condizione lavorativa e delle loro necessità. I movimenti di Tech Workers e Game Workers stanno pian piano crescendo e maturando, coinvolgendo persone da tutto il mondo e portando a galla le iniquità di tutto un sistema. È ancora presto per parlare di una completa svolta sindacale dell’industria tecnologica, ma a livello percettivo è innegabile che stia tornando un vento di battaglie sindacali.
In un sistema così polarizzato, in cui la spaccatura tra classe dirigente e lavorator* è così accentuata e in cui il dialogo è così esacerbato, la nascita di organizzazioni di questo tipo, che siano sindacati tradizionali o alt-labor (entità sindacali oltre il sistema tradizionale), è un segnale non indifferente.
Dallo scandalo Activision-Blizzard è passato quasi un anno, è stato un turning point di notevole importanza all’interno del mondo videoludico: è come se fosse crollata la prima Repubblica e con i leggendari 7 milioni di lire buttati nel cesso. La causa presentata dallo Stato della California ha squarciato il velo di Maya, mostrando le discriminazioni all’interno di quell’ambiente lavorativo e, soprattutto, sottolineando che non si tratta di un caso isolato, bensì di una condizione diffusa e che permea tutta l’industria tech.
Assieme a quegli scandali sono riemerse anche le istanze degli specifici gruppi, come i QA Tester, ovvero chi effettua test sui prototipi dei videogiochi per controllare la qualità e dare feedback al* sviluppator*. Non l* pagano per “giocare e basta”, ma per rompere ogni singolo pixel del gioco in cerca di bug, errori, miglioramenti possibili e quant’altro. Un lavoro con poche possibilità di carriera e con un grandissimo turn-over. Il 23 maggio, un gruppo di 28 QA Tester di Raven Software (software house sussidiaria di Activision-Blizzard-King che ha sviluppato Call of Duty: Warzone) ha ricevuto l’esito delle loro elezioni sindacali. L’ufficio di Milwaukee della National Labor Relations Board (NLRB) ha contato i voti e il risultato di 19 contro 3 ha confermato che Game Workers Alliance (GWA) - questo il nome del gruppo - è un sindacato ufficiale.
“We did it! We won our Union!” ha esclamato Jessica Gonzalez, attivista per i diritti dell* Tech Workers e volto di A Better ABK. In uno spazio vocale sul profilo Twitter di GWA è stato seguito lo spoglio in diretta ed è ancora disponibile la registrazione sulla loro pagina. Nove minuti di diretta che hanno raccontato il cambiamento dell’industria videoludica per come la conosciamo. Nove minuti che concretizzano mesi di battaglie, di tentativi antisindacali (union-busting) da parte della corporation. Il sindacato dei tester di Raven Software è il primo nell’industria videoludica AAA nordamericana.
Qualche settimana dopo anche i QA tester di Keywords Edmonton (che stanno attualmente lavorando a Dragon Age 4 per conto di Bioware) hanno votato per formare un sindacato. Gli scrutini hanno visto una vittoria unanime di 16-0.
Il futuro ora è tutto da scrivere per l* lavorator* di Raven Software, visto il probabile arrivo di Microsoft. La domanda che tutt* si stanno chiedendo in sala è: l’azienda di Redmond riconoscerà i problemi all’interno di Activision-Blizzard, riconoscerà i sindacati e intraprenderà azioni proattive per cambiarne la cultura aziendale? Microsoft, qualche giorno dopo le votazioni, ha dichiarato che non interferirà con gli sforzi sindacali del* dipendent* (anche perché è illegale).
Brad Smith, presidente di Microsoft, ha dichiarato quanto segue:
It’s a good time to step back and recognize there is a lot we can learn from not just business leaders but labor leaders
È un buon momento per fare un passo indietro e riconoscere che c’è molto che possiamo imparare non soltanto dai leader del business, ma anche dai leader dei lavoratori
Si rimane, quindi, in attesa per osservare l’evolversi della situazione, se l’acquisizione di Activision-Blizzard da parte di Microsoft si concretizzerà e quale sarà il futuro dei movimenti sindacali dei Game Workers.
Fonte: Axios, Bloomberg, Polygon, Washington Post, Twitter
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È importante e risaputo che le cose non sempre sono ciò che appaiono. Per esempio sul pianeta Terra gli uomini hanno sempre ritenuto di essere più intelligenti dei delfini. Sostenevano infatti che mentre loro avevano inventato un sacco di cose, come la ruota, le guerre, il cameratismo, Bobby Kotick, ecc., i delfini non avevano fatto altro che sguazzare nell'acqua divertendosi.
Al contrario invece, i delfini sapevano da tempo dell'imminente necessità di cambiare la lingua italiana e avevano tentato più volte di avvertire l'umanità; ma i loro messaggi erano stati fraintesi e interpretati come divertenti tentativi di dare calci a palle da football o di fischiare per avere bocconcini prelibati. Così alla fine i delfini rinunciarono e se ne andarono dalla Terra coi propri mezzi, poco prima che arrivassero gli accademici della Crusca. L'ultimissimo messaggio lanciato dai delfini fu interpretato come un tentativo estremamente raffinato di fare un doppio salto mortale all'indietro dentro un cerchio, fischiettando nel contempo l’inno di Mameli: in realtà invece, il messaggio diceva: “Addio e grazie per tutto il pesce”.
Faceva così, giusto?
Abbiamo una concezione un po’ strana di come funziona l’evoluzione. In testa abbiamo l’immagine dello scimpanzé che piano piano diventa homo sapiens, e siamo portat* a pensare che questo percorso sia sempre improntato a un miglioramento, a qualcosa di “più elevato” rispetto alle altre forme. Noi esseri umani abbiamo il pollice opponibile, un sistema di comunicazione articolato, abbiamo coscienza di noi e il nostro intelletto supera quello di ogni altra specie animale; siamo quindi più evoluti di un pesce blob, giusto?
Provateci voi a vivere a 1200m di profondità e poi vediamo chi è più evoluto!
Si cambia per necessità, per andare in contro a cambiamenti che ci riguardano e che, se vogliamo continuare a sopravvivere, dobbiamo imparare a conoscere e gestire. Non crediate che con la lingua funzioni tanto diversamente.
La lingua è uno strumento, e come tale ha una sua funzione. È una delle tante forme di linguaggio e ci serve per comunicare. Ma che succede se noi e la persona alla quale vogliamo far arrivare un concetto non abbiamo lo stesso codice linguistico? Eh, è un problema non indifferente. Succede allora che, in un modo o nell’altro, lo strumento che abbiamo per comunicare cambia, ma lo fa in modo strano. Assume una forma tutta nuova, con un po’ degli elementi comunicativi dell’altra persona, e un po’ dei nostri. Anno dopo anno però ci saranno sempre più cose nuove di cui parlare, sempre più necessità di veicolare concetti nuovi, e si incontreranno sempre più persone che usano lingue e codici linguistici differenti.
“La lingua è un essere fluido, in perenne mutamento”, mioddio, se mai aprirete un qualsiasi libro di linguistica questa frase vi uscirà dalle orecchie (salvo poi trovare il docente di linguistica che ripensa, con fare ilare, agli storici della lingua dei secoli passati che concepivano la lingua come qualcosa di puro o di perfettamente collocato su un binario evolutivo lineare, biasimandoli teneramente; per poi però mettersi le mani nei capelli alla prima domanda sullo schwa, deridendo chi si interroga sul linguaggio inclusivo, ma vabbè).
Insomma, la lingua pura non esiste, l’italiano che si parla oggi non è lo stesso italiano che si parlava 20 anni fa e, anzi, voi stessi nell’arco di una giornata parlate più italiani differenti. Se poi conoscete anche un dialetto congratulazioni, siete bilingui!
Quindi, l’evoluzione non significa cambiare in una versione “migliore”, ma più utile; se vogliamo sì migliore, ma per le necessità che il nostro ambiente - naturale e/o sociale - ci richiede. Ok, e quindi, dopo tutta questa manfrina che non vuole sembrare un manifesto in onore del linguaggio inclusivo (ma che lo è, e infatti lo nasconde molto male), come possiamo osservare l’evoluzione dei videogiochi?
Per una volta non voglio pensare a elementi puramente narrativi, ma proprio all’aspetto pratico. L* videogiocator* chiedono sempre più giochi, e li chiedono sempre più articolati, sempre più realistici o sempre più d’effetto. Sempre “più”. Ma il “sempre più” richiede tempo per essere pensato e realizzato, e quindi come può un videogioco plasmarsi in modo da poter sopravvivere al meglio nell’ambiente in cui verrà lanciato se il giorno della sua nascita avviene anni e anni dopo che è stato pensato? L’ambiente che si troverà ad affrontare, l* videogiocator* che lo assaliranno, non saranno l* stess* di quando quel gioco ha iniziato a prendere forma. È una costante corsa tra Achille e la tartaruga, e forse anche qui siamo di fronte a un paradosso.
Bisogna andare avanti per tentativi, per esperimenti, come con la lingua, dando origine a dei punti di contatto che generano nuove varianti?
Una delle mie teorie linguistiche preferite è quella delle onde, secondo la quale un singolo mutamento linguistico si comporta come un sassolino gettato nello stagno: genera onde che, mano a mano che si allontanano dal centro, si dilatano fino a sparire. Un mutamento linguistico, dunque, parte da un ipotetico centro e poi si propaga come queste onde, andando più lontano tanto quanto quel mutamento si rivela essere forte e pesante contro lo specchio d’acqua.
Ma i mutamenti non avvengono mai uno alla volta. Ecco quindi che i sassolini che smuovono le acque sono tantissimi, la superficie geografica si smuove e le onde si scontrano, dando vita a luoghi in cui si incrociano più varianti, o dove le varianti si mescolano in modo strano. Un casino meraviglioso.
Ecco, che i videogiochi vadano considerati come questi sassolini? Lanciati su uno specchio d’acqua che però non è cartografabile come quello su cui si muovono i mutamenti linguistici, ma che comunque genera onde che si scontrano e che danno vita a varianti?
E chi gioca che ruolo ha in tutto questo? Siamo lo stagno e parte dell’onda, che ce ne rendiamo conto o meno. Credo.
P.s. per l* linguist* alla lettura: vi prego non odiatemi per l’abbondante pressapochismo dei concetti. Vvb.
Questa intervista merita attenzione
Per il secondo anno consecutivo, itch.io festeggia il Pride Month con un bundle di giochi a tematiche queer. Quest’anno il bundle comprende 588 articoli, tra videogiochi, zine, e software, messi a disposizione da 413 creators. Il bundle come sempre è una vetrina, uno spazio e un’occasione per conoscere prodotti indie frutto di artist* facent* parte della comunità LGBT+, e che mettono all’interno delle loro opere loro stess*, le loro esperienze e il loro punto di vista. Ogni ricavato andrà poi diviso equamente tra tutt* l* artist* che si sono segnati per ricevere fondi.
Giusto per darvi qualche titolo, ci potrete trovare Non-binary di Owofgames, 2064: Read Only Memories di MidBoss, A Normal Lost Phone di Accidental Queens e Seaven Studio, e Will Die Alone di Arirav.
Sviluppator*: tantissim*!
Disponibile su: PC tramite itch.io
Prezzo: € 60
Ps: è stato messo a disposizione anche una versione del bundle a donazione libera, con un contributo minimo di € 10
In questo mese appena trascorso sono diversi gli articoli degni di nota usciti sia su testate specializzate che generaliste. Abbiamo deciso di includere tre articoli pubblicati su Stay Nerd e ci teniamo a fare loro i complimenti per il lavoro che svolgono.
League of Legends: il videogioco competitivo ha problemi di omofobia di Matteo Lupetti. In quest’articolo pubblicato su Gay.it, Matteo Lupetti riporta la testimonianza di Vincent “Biofrost” Wang, giocatore professionista che denuncia l’ambiente omofobo del mondo eSports.
Grazie per il suggerimento, ma vorremmo continuare a giocare i videogiochi di Luca Marinelli Brambilla. In risposta diretta al problematico editoriale pubblicato sulla storica rivista The Games Machine, Luca Marinelli Brambilla cerca di scardinare la perversa narrativa videoludica che sminuisce le esperienze contemporanee perché “troppo facili”.
Se Black Mirror è uno stupro di gruppo: abusi e violenze nel metaverse di Francesca Torre. Le violenze subite da una ricercatrice sulla piattaforma Horizon Worlds riportano a galla la discussione sulle violenze nelle piazze virtuali, Francesca Torre racconta meravigliosamente il fatto e sottolinea nuovamente l’importanza di capire che il virtuale è reale.
Abissi generazionali: su politica, videogiochi, sale LAN e stereotipi collettivi di Lorena Rao. L’italia è vecchia e a dimostrarlo sono sia la l’affaire sulle Sale LAN che l’intervento al TG1 del Senatore di Forza Italia Andrea Cangini. Lorena Rao fa un riepilogo dei due casi e approfondisce il tema della frattura generazionale presente nel nostro paese.
Nelle puntate precedenti…
“Vivendo” sui social e lasciandosi trasportare da quella confortevole bolla che l’algoritmo disegna per noi, ci si dimentica facilmente quanto possa essere alienante, o terrificante, il mondo oltre quei confini. Nella bolla tutt* hanno bene o male le tue stesse idee, le tue stesse passioni, un senso dell’umorismo che si allinea al tuo, e ogni volta che nel “mondo fuori dalla bolla” si parla di qualcosa di spiacevole (violenze, disastri, etc…) si fa fatica a delinearlo e a prenderlo sul serio.
Questo è un mese importante, è il mese del Pride, è il mese che vuole ricordare i moti di Stonewall, è il mese che vuole gridare a squarciagola che la violenza esiste, c’è ancora, è forte. Ma è anche il mese che ci vuole ricordare che se anche la strada da fare sembra non avere mai un termine, e mai nemmeno dei punti in cui potersi riposare, non si è sol*.
Chiudiamo quindi la newsletter così, con un abbraccio virtuale a tutt* voi che siete finit* nella nostra bolla e che avete deciso di dare un’opportunità alle nostre voci iscrivendovi a Still Alive, e anche a tutt* voi che durante queste settimane festeggerete il Pride. Che stiate scendendo in piazza o meno, sotto gli occhi di tutt* o solo con il pensiero, il vostro contributo conta.
Ci vediamo tra meno di un mese con un’altra uscita speciale!