…ahahahah ma a chi la diamo a bere.
Buongiorno! Benvenut* in questa mirabolante puntata di aprile di Still Alive!
Mettetevi comod*, prendete il vostro plaid preferito, indossate il vostro pigiama più confortevole e spaparanzatevi per dedicarvi questi dieci minuti di lettura fatti di puro delirio, perché nessuno ci ha insegnato come si fa a diventare grandi, nessuno lo ha ancora realmente capito e noi tendenzialmente stiamo andando alla cieca. Destino, testardaggine e svariate congiunzioni astrali hanno fatto sì che entramb* passassimo l’ultimo mese in un vortice di scelte di vita da dover prendere che non avevamo richiesto, per le quali non eravamo preparat* e che ci stanno un pochino scombussolando.
Non sono semplicemente cambiamenti, ma vere e proprie testate contro il muro di quella che si millanta essere la vita adulta in tutto il suo peso sociale.
Ringraziamo come sempre la nostra mirabolante revisora Matilde Ulivi, che sta passando anche lei un periodo del genere e con la quale in queste settimane abbiamo condiviso moltissimi messaggi di panico, confusione, gioia, sconforto, euforia e maledizioni a terze parti.
E non dimentichiamoci di ringraziare anche Camilla Fasola, che con i suoi disegni riesce a farci sembrare sempre sicur* di noi stess*. L’immagine di copertina viene da Unsplash, ed è di Tonik.
Vi consigliamo un’iniziativa a cui partecipare
Stanno arrivando gli americani
7 minuti di lettura
In questo momento vi sto scrivendo dalla periferia romana, un tiepido sole mi scalda il viso e il rumore della lavatrice fa da sottofondo alla scrittura di questo testo. Un paio di settimane fa è arrivata una proposta. Una di quelle alle quali non si può dire di no. Avevo un po’ di paura, ma ero entusiasta. Mi è stato proposto uno stage di sei mesi in una redazione nascente, per un giornale di cinema, spettacolo e nuovi media che arrivava per la prima volta in Italia. La redazione però è a Roma.
A gennaio scrissi un pezzo su Niente da Dire in cui parlavo di Marvel Snap e di come la meccanica dello SNAP, per alzare la posta in gioco, fosse la metafora perfetta per il trasloco che stavo facendo all’inizio 2023 (ringrazio anche
per aver consigliato il pezzo nella loro newsletter). Bene, ora quella metafora si può usare nuovamente perché, senza pensarci due volte, ho fatto i bagagli e sono partito alla volta della città eterna. Sono arrivato nella capitale proprio domenica scorsa, con un frecciarossa che è partito alle sette da Torino, lasciandomi dietro la Mole Antonelliana che tanto mi ha cullato, nonché il fantomatico PM10 sopra i limiti consentiti tipico dell’aria piemontese. Un dettaglio che mi ricorda ciclicamente il fatto che Torino è bella da farti proprio male ai polmoni. Le sigarette poi fanno il resto.La notte della partenza non ho chiuso occhio. In fondo, come potevo. Stavo per partire alla volta di un'altra regione, a fare il lavoro per cui mi sono preparato da sempre. Lunedì sono entrato per la prima volta nella redazione del The Hollywood Reporter Roma e ho avuto modo di conoscere finalmente l* collegh*. Sembrava l’inizio di una sitcom, una di quelle in cui gli stagisti sono presentat* al gruppo e piano piano si scoprono tutti i personaggi. Un gruppo di ottime persone, nonché di ottim* professionist*. Ognun* con esperienze immense nel giornalismo e con un mucchio di storie da raccontare.
Proprio mentre facevamo la prima riunione di redazione, con i vicedirettori Pino Gagliardi, Boris Sollazzo e con la direttrice Concita De Gregorio, ecco che aleggia nell’aria la notizia: “Stanno arrivando gli americani”. “Gli americani?” dico.
Ero lì da neanche due ore, in mezzo a giornalist* di grosso calibro e ora arrivano pure gli americani? Dalla porta della redazione vedo entrare la direttrice editoriale del The Hollywood Reporter Usa, Nekesa Mumbi Moody. Si siede al tavolo con noi, sorridente, e si congratula per il lavoro che stiamo svolgendo. Venerdì il sito è stato ufficialmente lanciato, con la homepage e la top story dedicata a Nanni Moretti e al suo nuovo film, Il Sol dell’Avvenire. La sera prima del lancio c’è stato un gigantesco party a Palazzo Brancaccio, con la lettura dell’editoriale di apertura della direttrice, accompagnata dall’incredibile voce di Erica Mou che ha cantato Bella Ciao in Farsi, dedicandola alle donne iraniane.
“Cosa metterai per la festa?” mi chiede Pietro, il nostro traduttore. Sono partito da Torino con un set di camicie a quadri, una felpa di Star Wars, dei jeans e dei calzini con paperelle. “Forse devi prendere una giacca” mi consiglia.
“Dove?”
“Sei in centro a Roma, qualcosa troverai.”
Ore 18:30. La festa comincia tra un’ora e chiedo il permesso per andare a fare un po’ di spesa. Accordato. Pochi minuti dopo sono in piazza Vittorio Emanuele, completamente da solo ma con una chiara idea in testa su come vestirmi. Cercavo una giacca blu e una maglietta gialla, si intonava con le scarpe e con i calzini, mentre la giacca stava bene con il pantalone, unica cosa pseudo elegante che ho portato da Torino. Un abbigliamento molto da eurodeputato, mi dicevo. Ma con un suo perché.
Entro nel primo negozio ma vedo che i prezzi sono folli, d’altronde cosa mi aspettavo: sono in centro a Roma e sto cercando una giacca. A questo punto faccio la cosa che dovrebbero fare tutt*, ovvero chiedo consiglio alle commesse del negozio. La prima super gentile, per le giacche mi dice che avrei trovato qualcosa di conveniente in un altro negozio lì vicino. Ho apprezzato l'onestà intellettuale. Alla seconda, ancora più gentile, illustro la mia idea di outfit con giacca blu e maglietta gialla, chiedendole un parere. “Le tonalità di giallo e di blu sono un po’ diverse” mi dice. “Sembro vagamente elegante?”, le chiedo. “Vagamente”, risponde. Io questa la chiamo vittoria.
La serata è stata folle. Se avete seguito le mie stories su Instagram e i video pubblicati sul profilo ufficiale del giornale avete una vaga idea. La cosa che ho immediatamente notato in quella circostanza è che non avevo ansia, zero. Per la prima volta da un po’ di tempo, quel sentimento aveva abbandonato la mia mente. Ma non perché sono diventato sicuro di me, questo mai, ma perché il mio cervello non ha ancora elaborato quello che sta succedendo, che cosa sto vivendo e di cosa sono partecipe. I vostri messaggi mi hanno scaldato il cuore, da parte di collegh*, amici e conoscenti. Grazie, di tutto.
Qualcun* mi ha anche scritto che ho partecipato a un momento storico per il giornalismo e che devo appuntarmi tutto quello che sta succedendo perché non si sa mai. Nella mia testa l’unico pensiero è sulla parabola che ha preso la mia vita: dalla periferia di Torino a Palazzo Brancaccio a Roma, passando da OVS.
In che senso scusa?
4 minuti di lettura
- videogiochi? Perché, tu giochi? In che senso?
- sì, da quando sono bambina.
- e come mai?
- colpa di un fratello maggiore. Giocavamo insieme.
- e giochi ancora adesso?
- sì.
- ah, e cosa giochi? Qual è il tuo preferito?
- oddio, non ce n’è uno in particolare.
- non dirmi che ti ho fatto una domanda difficile. Su, cosa giochi? Non credo mi risponderai Fifa, che al massimo a quello ci gioca tuo fratello.
- … non ce n’è uno in particolare. I titoli sono molti.
- insomma, ti ho fatto una domanda.
- al momento i supporti che ho a disposizione per giocare sono pc e Nintendo Switch, e se le devo fare un piccolo elenco dei giochi che mi sono piaciuti nell’ultimo periodo posso parlarle di Season, che va a interrogarsi sul concetto di memoria legata alla formazione dell’individuo, ma anche su quella che è la memoria storica e culturale di una generazione o di una società con la stessa base culturale. Oppure le posso parlare di Pentiment, gioco che graficamente si rifà alle miniature dei manoscritti del sedicesimo secolo, e non solo costruisce una storia che ti porta a indagare su un omicidio costringendoti a condannare delle persone che sai essere innocenti, ma riporta tematiche quali l’anoressia mistica, l’abuso, la disparità sociale e la crisi della società clericale alle porte della riforma protestante e, soprattutto, il ruolo che ha l’arte in tutto questo come veicolo meravigliosamente imperfetto ma fondamentale per mantenere la memoria storica. Rimanendo però su titoli magari più conosciuti posso parlarle di Horizon, che è al centro di molti dibattiti e articoli riguardo le figure femminili all’interno del mondo videoludico, o di God of war, The last of us e tanti altri che tra le varie cose possono essere osservati per quanto riguarda il rapporto genitoriale. Ma, ecco, ce ne sono tanti.
- ah. Ok. Io non ne so nulla, ma ho un nipote che gioca. Volevo vedere se rispondevi.
- …
- no perché hai messo videogiochi nel curriculum ma senza spiegarlo, quindi volevo indagare. Non mi aspettavo rispondessi.
- l’ho messo tra gli hobby e per collegarlo alla parte di esperienza nella scrittura di articoli. Ma arrivare a spiegarlo in meno di una riga è arduo.
- e perché scrivi?
- condividere punti di vista, principalmente.
- perché, non vai al bar con le amiche per quello?
- come scusi?
- studi, lavori, poi mi parli di articoli, progetti podcast, videogiochi, lettura e altro. Scrivi per condividere ma ora mi viene il dubbio che tu non abbia una vita sociale. Non puoi riuscire a fare tutto.
- beh, non faccio ogni singola cosa ogni giorno. Per esempio, sono mesi che non scrivo un articolo, e circa tre settimane che non gioco. Sono in un periodo in cui preferisco dedicarmi ad altro.
- non hai risposto sulla cosa della vita sociale. Non hai amiche?
- ho amiche e amici, esco quando mi va di uscire e mi scrivo costantemente con loro, ma…
- ok, e quando dormi?
- … la notte.
- ma insomma, qui non mi torna il quando trovi il tempo per fare tutto. A cosa togli o toglieresti tempo? Al lavoro, immagino.
- piuttosto dormo un po’ di meno, ma direi che al lavoro proprio no, non tolgo tempo. Anzi, solitamente tendo a sovraccaricarmi di lavoro e a sacrificare il resto. Devo ancora trovare un equilibrio.
- ah.
- ah.
- e cosa fai per rimanere sveglia?
- caffè.
- a me il caffè non piace.
- ah.
- ah.
[Tratto da un colloquio di lavoro realmente avvenuto.]
Non sono ver* amic* se non ti consigliano indie
Boyfriend Dungeon è una roba
Spiegare Boyfriend Dungeon è molto divertente. Perché nessun* si aspetta veramente qualcosa da questo gioco e dalle immagini dà l’impressione di essere un generico dating sim. Beh, è un dating simulator. E fin qui tutto a posto e niente in ordine. Si conoscono persone, si fanno appuntamenti, regali e quant’altro. Ma il core gameplay del gioco è un mix letale di appuntamenti e dungeon crawler simile a Diablo.
Immaginate di uscire, per utilizzare termini giovani, con la vostra crush e di scoprire dopo pochi dialoghi che la suddetta crush è un’arma. Sì, un’arma. Nel mondo immaginario di Boyfriend Dungeon ci sono delle persone che hanno la capacità di trasformarsi in armi: pugnali, stocchi, sciabole e spadoni. E per suggellare la vostra relazione con queste persone, beh, dovete portarle sia ad appuntamenti galanti che nelle profondità di dungeon pullulanti di nemici, usandole, appunto, come armi per superare gli ostacoli e sconfiggere i boss.
Spiegare Boyfriend Dungeon è sempre molto divertente, giocarlo poi è un’esperienza davvero unica. Un’ibridazione tra due generi videoludici che nessun* avrebbe mai avuto il coraggio di mettere nello stesso calderone. Lo studio di Kitfox Games lo ha fatto e il risultato è talmente folle da risultare geniale.
Sviluppator*: Kitfox Games
Disponibile su: PC, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series X|S, Nintendo Switch
Prezzo: €16,99 - €19,99
Durata: 5 ore
Collegh* fanno cose
Giulia Martino ha pubblicato per Multiplayer un articolo-intervista in cui sei sviluppator* ucraini parlano di sé, di come la guerra abbia cambiato la loro vita e il loro modo di approcciarsi a questo medium.
Diego de Angelis, per la rivista L’indiscreto, ha scritto un articolo sulle safe rooms nei videogiochi, portando l’attenzione a quello che è uno spazio, un ambiente la cui assenza o presenza impatta enormemente non solo sulla componente narrativa, ma anche sul nostro vivere il videogioco stesso.
Francesco Toniolo su Final Round pubblica un articolo strettamente legato al concetto di critica videoludica, sollevando non pochi argomenti chiave.
Sul canale Twitch di Gameromancer si è concluso la pima stagione di PitchAGame!, il primo talent per sviluppator* indie, dove sono state presentate delle idee e delle demo che veramente vi consigliamo di recuperare e tenere d’occhio. Qui il link alla prima puntata (in totale sono due)!
Vi consigliamo un evento da recuperare
Addio, addio…
Come cantano i Coma Cose (*Ilaria screams of disapproval*), che è da un po’ che non citiamo (ma andava bene anche così, Dami, mannaggia!), crescere significa adattarsi, mica rompersi i coglioni. E noi un po’ ci stiamo adattando, ma sicuramente non ci stiamo rompendo i coglioni, e nemmeno le ovaie.
Siamo in un vortice di cose che ci ha colto alla sprovvista e ci sta trascinando nell’età adulta. Siamo felici perché qualcosa si muove. Siamo orgogliosi perché siamo noi stess*. Ma soprattutto, siamo entusiasti perché ogni mese siamo sempre qui. In questo nostro spazio che ora conta più di 200 iscritt*.
Perdonate la cerimoniosità, ma noi ci stupiamo sempre per queste cose. E forse questa nostra genuina sorpresa a fronte dell’affetto che ci mandate è il motore per tutto ciò che scriviamo. Al prossimo mese!
E se non siete ancora nel nostro canale Telegram, beh potete rimediare subito.
Che bello leggervi quando scrivete il ca**o che vi pare.