Questa newsletter è in fondo a sinistra
"Io che ho sempre fallito con tutte quelle doti che ci avrei"
Come molte delle nostre newsletter, il tema si forma dall’unione dei nostri pezzi. La maggior parte delle nostre puntate nasce così, da un brainstorming in cui lanciamo le nostre idee di articoli e poi ci scervelliamo per trovare collegamenti. A volte invece decidiamo il tema con un po’ di anticipo e articoliamo i nostri contributi cercando di fornire due punti di vista sullo stesso argomento. Entrambi i metodi funzionano per noi, e ammettiamo che ci sono alcune storie di cui vorremmo parlare ma che abbiamo - purtroppo - sospeso, poiché richiedono un po’ di tempo e organizzazione. Due cose che non abbiamo, al momento.
Questa puntata, comunque, è nata da un mix dei due metodi: un po’ sapevamo di cosa volevamo parlare, ma dall’altra parte non avevamo un tema ben preciso. Dopo esserci confrontati, abbiamo capito che la parola di questa puntata doveva essere “partecipazione”; perché la nostra democrazia, e la nostra collettività, richiede partecipazione, elemento fondamentale per esercitare le proprie libertà. L’idea però non è proprio nostra nostra (ma in fondo chi è che ha idee nuove), bensì di quella fonte irriducibile di citazioni che è stato l’anarchico Giorgio Gaber.
C’è chi in famiglia è cresciuto a pane e De André (anche lui di grande ispirazione anarchica), c’è chi invece faceva girare Polli d’Allevamento di Gaber sul giradischi di casa della zia. Poche (rare) volte c’è un mix dei due. Beh, Gaber cantava che “libertà non è star sopra un albero/non è neanche il volo di un moscone/libertà non è uno spazio libero/libertà è partecipazione”.
Proprio perché libertà è partecipazione, in questo numero di Still Alive parliamo del ruolo del giornalismo libero, recentemente messo a dura prova viste le nuove nomine in Rai, e poi parliamo di sindacati e del sindacalista Sonic, del diritto dell* lavorator* a condizioni di lavoro adeguate, partecipando all’azione collettiva. E poi l’indie di questo mese racconta di uno degli sport più auto-organizzati di sempre, il roller derby.
Vi auguriamo buona lettura,
Damiano e Ilaria
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Le illustrazioni di Still Alive sono realizzate dalla bravissima Camilla Fasola, mentre la revisione è di Matilde Ulivi. L’immagine per substack è di Ehimetalor Akhere Unuabona da Unsplash.
Momenti di ordinaria gastrite
12 minuti di lettura
Io non so voi, ma solitamente capisco di dover smettere di leggere le notizie sui social o sui giornali online perché inizio ad avere mal di stomaco. Faccio indigestione, ma è un’indigestione brutta, di quelle in cui non puoi nemmeno consolarti di esserci arrivat* ingurgitando quelle tre barrette di cioccolata alle nocciole che ti istigavano da giorni nella dispensa. Non è un mal di pancia da caramelle, o da pizza con doppia pasta. È un bruciore causato dallo schifo, e il mio corpo fa di tutto per chiedermi una pausa per riuscire a digerire poco alla volta e non vomitare rammarico, fastidio e disillusione.
Partiamo con una banalità: i mass media hanno i loro linguaggi. Hanno le loro regole, le loro tattiche, i loro strumenti per ottenere da chi legge ciò che vogliono; e ogni media vuole qualcosa: informare, divulgare, intrattenere, persuadere, etc… A volte vuole una cosa sola, a volte ne vuole di più.
Disclaimer doveroso: sto generalizzando un pochetto (tanto), eh. Dopotutto, se queste cose fossero semplici non esisterebbero interi corsi di laurea a riguardo.
Ordunque, perché mi viene il mal di pancia a forza di leggere le notizie sui giornali (digitali e non) e di ascoltare i tg?
Risposta rapida: non sono d’accordo con la politica che seguono e con il come danno le notizie.
Risposta lunga: capisco perfettamente le meccaniche di manipolazione del linguaggio che vengono adottate e mi rode il fegato che queste non solo funzionino, ma che siano anche estremamente popolari e che sia difficile rendersi conto del cortocircuito che mettono in atto se non si è allenat* a riconoscerle.
Risposta paracula: VE LO BUCO QUEL GIORNALE!
Il buon Michele Loporcaro (linguista, glottologo, docente alla Scuola Normale di Pisa) nel suo Cattive notizie, prima di iniziare un meraviglioso rant contro Berlusconi e le sue manovre legate al mondo dell’informazione, cerca di analizzare un attimo la situazione legata al linguaggio e alla retorica dei mass media italiani che si occupano di dare notizie, e per farlo parte creando due poli:
“Lo faremo in modo radicale [strutturare il discorso], isolando nel vastissimo e sfumato spettro di posizioni al riguardo due idee fondamentali e contrapposte di notizia che, vedremo, stanno in diretta relazione con due idee contrapposte di società (e, di riflesso, con due opposti programmi politici): da un lato, l’idea della notizia come informazione; dall’altro, l’idea della notizia come racconto mitico”.
Mentre la notizia come informazione vede un testo che punta il focus sull’evento singolo, specifico, che punta a dare a chi legge tutte le informazioni in modo da permettere la formazione di un pensiero critico proprio, la notizia come racconto mitico porta gli eventi in secondo piano, e si concentra sulla narrazione della notizia stessa.
Oddio, si capisce la differenza tra le due, vero?
Con un esempio forse è più facile. È la stessa differenza che c’è tra questi due testi:
“Nel pomeriggio di ieri un uomo è entrato armato nella sede centrale della banca di Milano allo scopo di rapina. La polizia è arrivata tempestivamente, avvertita dall’allarme silenzioso avviato da un dipendente della banca.”
“Ieri mattina, un uomo di origini marocchine ha fatto irruzione nella sede centrale della banca di Milano. Per fortuna, Federico Rossi, un giovane di 20 anni, mantovano, che ha iniziato a lavorare per la banca di Milano dopo aver completato gli studi in Giurisprudenza, ha premuto il pulsante che avvia l’allarme silenzioso. Le forze dell’ordine sono arrivate subito e hanno fermato il pericoloso malvivente. *parte testimonianza di una delle persone coinvolte nella vicenda, in uno stato emotivo visibilmente scosso*”
Mi sono spiegata? Il secondo racconto è infarcito di informazioni che possono sembrare neutri e/o cruciali per comprendere la vicenda, ma contribuiscono solo a rendere le persone coinvolte dei personaggi di un racconto con dei ruoli ben definiti. “Le storie, che siano in forma di film, libri o videogiochi”, scrive Jonathan Gottschall in L’istinto di narrare, “ci insegnano dei fatti relativi al mondo reale; influenzano la nostra logica morale; e ci segnano con paure, speranze e ansietà che alterano il nostro comportamento, forse persino la nostra personalità. La ricerca mostra che le storie ci condizionano, modellano la nostra mente senza che ne siamo consapevoli né consenzienti. Più profondamente siamo affascinati dalle storie, più potente è l’influenza che esercitano su di noi.” Costruire la notizia di un fatto di cronaca sul canovaccio di una storia, di un racconto mitologico, di una fiaba o di una qualunque situazione archetipica, punta a questo: influenzare la nostra logica morale, il nostro modo di vedere e percepire il mondo.
Ecco perché, subito dopo le barbabietole da zucchero, la nozione che tutt* solitamente ricordano dagli anni delle medie è il “per controllare il popolo bisogna controllare i mezzi di informazione”.
Alcuni giorni fa sono un attimo entrata in agitazione di fronte all’ennesima notizia legata alla virata verso destra delle reti televisive e giornalistiche pubbliche. In particolare, la notizia dell’ennesima denuncia da parte dell* giornalist* di RaiNews24 nei confronti del nuovo direttore, Paolo Petrecca. Una giornalista della rete ha infatti denunciato grandi tagli e stravolgimenti voluti da Petrecca a un suo articolo sul caso di Leonardo La Russa.
Insomma, un articolo riguardo un normalissimo caso di stu**o, di victim blaming, e di potenti e privilegiati che proteggono potenti e privilegiati. Qualcosa che in Italia la stampa sa comunque raccontare benissimo.
*inserire palla di erba secca rotolante mossa dal vento*
Di fronte alla notizia ho avuto la viva percezione (beh, oddio, viva più del solito, diciamo) di stare assistendo a un lento tracollo verso un clima di repressione e di dittatura mascherata. E, come al solito, i social contribuiscono a farmi percepire questa mia ansia sì come condivisa, ma sempre e solo all’interno di una bolla. Fuori, oltre questo spazio che mi sono creata con il tempo, mi sento davvero sola con queste paure, e in pericolo (sempre più del solito).
Quindi, cosa c’è di meglio di un videogioco che ti fa percepire perfettamente quanto le parole scelte dalla stampa sono in grado di impattare sulla narrazione degli eventi e sulla percezione che le persone hanno di ciò che avviene intorno a loro?
(visto? VISTO?! Parlo di videogiochi alla fine!)
“No guarda Ila, hai dannatamente ragione. È uno schifo. Hai tutte le ragioni di stare male. A tal proposito, gioca The Westport Independent.”
Pirla anche io, che vado a cercare consolazione sullo stato del giornalismo italiano proprio da un giornalista. Così imparo.
The Westport Independent, però, è un buon esempio di quanto ho detto all’inizio, e sono certa che anche il buon Loporcaro lo apprezzerebbe.
Si gioca nei panni di un* caporedattor* di un giornale, il Westport Independent per l’appunto, e il vostro compito è quello di editare le notizie prima di assegnarle all* quattro giornalist* che lavorano con voi. Il clima politico e sociale però è un po’ teso: il governo ha varato una legge che sarà attiva nel giro di 12 settimane e che prevede un controllo massivo su ogni mezzo di informazione.
“Qual è la vostra responsabilità fino a che la legge non entrerà in vigore in modo obbligatorio?
NON stampare contenuti disdicevoli che possano ledere all’immagine della nostra nazione;
NON stampare contenuti che possano ledere l’immagine del partito lealista;
NON stampare contenuti disdicevoli che possano ledere l’immagine del Presidente;
NON stampare contenuti disdicevoli che possano glorificare gli atti dei ribelli o di altri criminali;
Stampare contenuti che rafforzino la lealtà verso il governo;
Stampare contenuti che ispirino moralità nelle persone;
Stampare contenuti che rincuorino correttezza nella nostra società.”
Oltre a ciò, chi lavora nel campo dell’informazione dovrà iscriversi all’associazione media e giornalisti lealisti (il partito al governo è il “partito lealista”). Nel mentre, buona parte della città è in subbuglio per via di gruppi di ribelli che cercano di opporsi con ogni mezzo alle pratiche dittatoriali del governo, e anche per numerosi gruppi di scioperanti che protestano contro politiche economiche basate su sfruttamento e gentrificazione.
Scegliere un titolo piuttosto che un altro, decidere di togliere una riga di testo e di lasciarne un’altra, mettere un articolo in prima pagina o alla fine del giornale. Basta veramente poco per pilotare l’attenzione di chi leggerà il testo, per costruire la storia che si troverà a leggere, e per contribuire a plasmare o meno una visione edulcorata della realtà.
Per trasformare un abuso di potere in un atto eroico basta omettere una riga. Per trasformare una vittima di violenza in un’assassina basta cambiare una parola. Generalizza, sii imprecis*, metti in chiaro chi sono i buoni e soprattutto chi sono i cattivi.
Lo stomaco si contorce.
No, non ci sto.
Unitevi, partecipate, ricordate che chi protesta mette in gioco molto di sé e della propria vita. Non è una scelta che viene fatta a cuor leggero, anche perché ribellarsi è un atto che costa caro anche a chi ha il privilegio di poterlo fare.
Qualcun* mi passi un Gaviscon.
Sonic, il sindacalista
6 minuti di lettura
Durante le manifestazioni dei lavorator*, negli Stati Uniti, non è insolito incappare in un gigantesco ratto gonfiabile. Si è visto all’inizio dei primi picchetti degli sceneggiatori, soprattutto alla Boston University, dove al Ceo di Warner Bros. Discovery David Zaslav è stato urlato “paga i tuoi sceneggiatori”, ma si è visto anche nei picchetti di fronte ad Amazon e Starbucks. Il suo nome è Scabby ed è una mascotte, anzi, è LA mascotte delle agitazioni sindacali statunitensi.
Benché le sue origini siano tuttora da chiarire (c’è chi rivendica di averlo inventato, c’è chi controbatte, ma soprattutto c’è chi lo produce che non vuole più saperne), il significato di Scabby è chiaro e gira attorno alla narrativa - intuibile - del gatto e del topo. I lavoratori (i topi) che si ribellano furiosamente contro i gatti (i datori di lavoro) che nello slang americano sono chiamati “corporate fat cat”, cioè gli amministratori delegati super ricchi e che guadagnano cifre astronomiche rispetto ai loro dipendenti, anche soprannominati nel gergo delle union “greedy pig” e raffigurati con il panciotto, il sigaro e un sacco di denaro alla Robber Barons dei primi del Novecento.
Il 10 luglio, i dipendenti di Sega of America hanno deciso di formare un sindacato. Si chiama Allied Employees Guild Improving Sega (AEGIS), ed è affiliato a Communications Workers of America (CWA). Lo hanno vinto per 91 voti contro 26, quindi con larga maggioranza. Ma proprio mentre si stava per svolgere il voto, un video appare online e dà una forma non soltanto alla battaglia dei lavoratori di Sega, ma in generale a quelli di tutta l’industria videoludica.
In questo video animato, il celeberrimo Sonic sfreccia alla velocità del suono attraverso alcuni scenari ispirati ai suoi giochi più classici. “Ciao, ora ti mostro come sindacalizzare il tuo luogo di lavoro a velocità sonica (Sonic Speed, ndr)”, recita il riccio blu a inizio filmato. E il video - per fortuna - continua, con Sonic che dà una serie di istruzioni sul processo di sindacalizzazione, invitando a parlare con i propri colleghi delle preoccupazioni sul luogo di lavoro, spiegando di trovare il sindacato a cui affiliarsi che più si allinea con le necessità dei lavoratori. E poi firmare le cosiddette union card, consegnando anche una petizione all’organo istituzionale che si occupa di diritti del lavoro negli Stati Uniti, cioè la National Labor Relations Board (NLRB). Infine, ovviamente, vincere le elezioni e sindacalizzare il proprio luogo di lavoro. “Gotta unionize fast”, afferma alla fine del video.
Sono 30 secondi di filmato che funzionano, e che elevano il porcospino Sonic - a mio avviso - al ruolo di mascotte sindacalista nell’industria dei videogiochi. Ma non è la prima volta che il personaggio di Sega viene utilizzato come icona dai movimenti game worker. Durante la Game Developer Conference del marzo 2018, il movimento per la sindacalizzazione Game Workers Unite - che ha anche un capitolo italiano che negli ultimi mesi si è unito a Tech Worker Coalition ed è poi confluito in una rete di coordinamento chiamata Game Workers Coalition - aveva pubblicato un numero del suo magazine con in copertina una raffigurazione proprio del nostro riccio blu. “Stay alive in the industrial zone”, si legge. Un numero con dentro anche “guide strategiche” per la sindacalizzazione, esattamente come comprare Giochi per il mio computer trovandoci dentro i trucchi per sopravvivere nei dungeon più difficili dell’ultimo videogioco uscito. Il concetto è lo stesso, e in fondo ci sono sempre dei boss da sconfiggere, no?
Non so se un giorno - camminando per le zone industriali della Silicon Valley - vedremo un riccio blu ergersi imponente come un Kaijū pronto a distruggere Tokyo (e povera Tokyo, aggiungo io), ma quantomeno sappiamo che una delle industrie creative più remunerative al mondo ha la forza di riappropriarsi dei suoi personaggi, e di utilizzarli per le proprie battaglie.
Chissà se Sonic è un “sindacalista”, e se diventerà mai un simbolo vero e proprio negli anni a venire (il movimento di sindacalizzazione dei game worker sta diventando sempre più comune e l’ultimo sondaggio della GDC mostra una maggioranza del 53% che pensa che il settore debba sindacalizzarsi), ma è certamente un degno erede di Scabby.
“Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa. Avrebbe potuto essere uno scoiattolo, ma abbiamo scelto un ratto", dichiara al The Guardian Anthony “Dino” Esemplare, sindacalista per Liuna (Laborer's International Union of North America). "Quando la gente vede Scabby per strada sa cosa significa,” continua Esemplare. "Che ci sono persone là fuori che cercano di migliorare la vita di qualcun altro”.
Perché deve interessarci il Centro Sperimentale di Cinematografia
Il Centro Sperimentale è stato fondato durante il fascismo, fortemente voluto da Mussolini e Ciano. Composto sia dalla Scuola di cinema che dalla Cineteca Nazionale, nasce dentro una struttura brutalista a due passi da Cinecittà e dall’Istituto Luce, lungo la Via Tuscolana.
L’11 luglio, all’interno del DL Giubileo, definito da una studentessa del CSC un “decreto accozzaglia”, sono comparse modifiche strutturali al Centro Sperimentale e soprattutto al suo Comitato Scientifico (ad oggi indipendente e non remunerato come ruolo), che definisce i piani didattici e i docenti. Quattro deputati della Lega hanno proposto una “ristrutturazione” della Fondazione, proponendo una sostanziale lottizzazione del Comitato Scientifico.
Cosa significa? Significa che le nomine del Comitato verrebbero decise da quattro ministeri diversi (Cultura, Università, Istruzione e Finanze), e quindi la didattica del Centro Sperimentale passerebbe direttamente sotto il controllo governativo. E dopo la presa massiccia della Rai e di altre istituzioni culturali da parte di forze politiche di estrema destra, il Centro Sperimentale sembra essere l’ultima roccaforte culturale da espugnare per il governo di Giorgia Meloni.
Questo perché se controlli la formazione di un’arte così di massa come il cinema, beh puoi decidere sulla formazione degli studenti e proporre narrazioni piuttosto che altre. Si sa che i fascisti, più che la sinistra (mannaggia) sono da sempre stati molto interessati all’avanguardia, al Cinema, e anche ai videogiochi. Dopo la sconfitta del fascismo, l’istituto ha ottenuto una sua indipendenza culturale. Ha avuto certo ingerenze politiche, ma non fino al punto cui si è arrivati nelle ultime settimane.
Riguarda anche i videogiochi? Nell’emendamento proposto dalla Lega (al punto 12.03), tra le finalità e la didattica del CSC si propone anche l’aggiunta della realtà virtuale, del linguaggio dei videogiochi e delle intelligenze artificiali. Insomma, ai fascisti piacciono i videogiochi, e questo un po’ lo sapevamo tutti. Purtroppo.
Per sapere qualcosa in più, qui l’inchiesta di Boris Sollazzo su The Hollywood Reporter Roma.
ReBcollective: The answer will be BOLD
“Siamo Re:B. Siamo una risposta necessaria, collettiva e forte a un sistema che non ci rappresenta. Siamo tantƏ, dovremmo essere tuttƏ. Stiamo stanchƏ di abbassare la voce e più determinatƏ che mai a cambiare le cose. Non abbiamo più paura. Di parlare, di farci sentire, di prenderci ciò che è nostro di diritto. A partire da rispetto e inclusività. Siamo ribellione.
Siamo pubblicitariƏ, vittime e aleatƏ, unitƏ contro un sistema che resiste a un cambiamento essenziale. È tempo che la cultura tossica, discriminatoria e sessista venga sradicata dall’interno. È tempo che scuse e giustificazioni lascino spazio ad azioni e prese di coscienza.
È tempo che molestie e abusi vengano chiamati con il proprio nome: molestie e abusi.
Ribellione, ricostruzione e un riavvio del sistema sono le fondamenta della nostra lotta. L’unica via percorribile per un futuro di questo settore che ci assomigli e ci appartenga di più.
Siamo Re:B.
The answer will be Bold”
LINK:
Mail per un supporto concreto per chiunque abbia subito, ma anche perpetrato, molestie sessuali e comportamenti abusivi nel settore dell’advertising: helpline@rebcollective.com
Non sono ver* amic* se non ti consigliano indie
Roller Drama, raccontare l’anarchia sportiva
Roller Drama è stata la scoperta della stagione invernale dei videogiochi italiani. Pietro Polsinelli e Open Lab hanno scelto di continuare a raccontare gli sport da un punto di vista sociale, collocandoli finalmente all’interno di un contesto. Uno stile che avevano provato già con Football Drama, nonostante alcuni problemi di gameplay di cui gli stessi sviluppator* sono a conoscenza. Roller Drama, ora, prende uno degli sport più anarchici e autorganizzati di sempre, un’attività “molto diffusa, ma poco nota”, come aveva dichiarato lo stesso Polsinelli in un’intervista.
Lo studio ha scelto di raccontare il roller derby, nonché di sottolineare la sua filosofia, la battaglia e la funzione di emancipazione sociale. Si tratta infatti di uno sport principalmente femminile, full contact, e sui pattini. Volano pizze, per capirci.
Roller Drama è una visual novel sulle cinque giocatrici di una squadra di roller derby, in un’ambientazione distopica non tanto lontana nel tempo. E l* utenti vestiranno i panni dell’allenatrice, tra problemi personali, storie d’amore e di ribellione. Insomma, storia d’amore e d’anarchia alla Lina Wertmüller, ma sui pattini, con sezioni di sport ibrida in tempo reale e con visuale tattica. Semplice, indie, ma - soprattutto - l’unico videogioco che racconta il mondo underground del roller derby. Un mondo che ha i suoi valori e che coinvolge completamente le atlete che ne fanno parte.
Uno sport che è stato ispirazione per film come Rollerball (a suo modo anche il Motorball in Alita angelo della battaglia) e per videogiochi come Rollerdrome, l’opera d’azione di Roll7 che - al momento - non ne sta sbagliando mezza in termini di progetti, se si conta anche OlliOlli World. E quest’ultima fatica di Open Lab - ora a lavoro su un progetto intitolato Becoming: Saint. - getta basi solide per la linea filosofica e valoriale di questo piccolo studio fiorentino, che già con Football Drama aveva dimostrato di avere le idee ben chiare su cosa raccontare, ma soprattutto su come farlo.
Sviluppator*: Open Lab
Disponibile su: Nintendo Switch, PlayStation 5, PlayStation 4, Android, Microsoft Windows, iOS, Linux, Classic Mac OS, Xbox One
Prezzo: € 14,79
Durata: 4 ore
Vi consigliamo un evento da recuperare
Addio, addio…
Anche questo mese ce l’abbiamo fatta. In ritardo come al solito, ma lasciamo la perfezione all* ragazz* prodigio di cui scrive costantemente Repubblica.
Proprio ora, mentre terminiamo di impaginare questa puntata di Still Alive, Ilaria ha appena finito di fare un giro di messaggi per sapere se tutte le persone che conosce a Milano e, in generale, in Lombardia (parenti compresi) stanno bene, e sta fissando le immagini dell* attivist* di Ultima Generazione ammanettat* dalle forze dell’ordine, perché loro sì che sono il vero pericolo per la mobilità urbana e la vita quotidiana dell* cittadin*. Damiano invece è davanti a Montecitorio, con il cuore gonfio di speranza nel guardare l* studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia che partecipano al sit-in.
Collettività, unione, lotta comune e supporto reciproco. Non ci stancheremo mai di sottolineare quanto tutto ciò sia importante. Fanculo l’individualismo.
Grazie di averci lett* anche questo mese, di averci aspettat*. Grazie dei continui commenti, delle condivisioni, dei messaggi di supporto e di discussione. Grazie di tutto!
Ci vediamo alla prossima puntata.