La musica è come il sesso, senti sempre quello dei vicini. Quando vuoi farlo tu è notevolmente più faticoso di quanto ti immaginavi. Ma insomma adesso basta parlare di sesso che poi uno ci prende anche il vizio. E la musica è un vizio dal quale è difficile staccarsi. È una magia potentissima, ci unisce, ci accompagna, ci sostiene e scandisce la nostra quotidianità una nota dopo l’altra. Nei videogiochi poi è un elemento importantissimo e spesso poco analizzato dalla critica. Proprio per questo motivo abbiamo scelto di occuparcene in questa puntata di Still Alive e per farlo, visto che né io né Ilaria brilliamo particolarmente per conoscenza musicale, abbiamo deciso di circondarci di persone che invece trattano con questo argomento quotidianamente e che hanno accettato la sfida di parlare del ruolo della musica nei videogiochi e delle sue contaminazioni con il cinema.
In questa puntata, infatti, potrete trovare un pezzo stupendo scritto dal giornalista Federico De Feo di Rolling Stone e Domani, che abbiamo conosciuto nel magico mondo di internet e che ha scelto, non senza intidimidazioni da parte di Ilaria che tutto sommato non erano cose carine da dire ma tant’è che ormai la querela l’abbiamo presa, di intraprendere questo breve viaggio con noi. Ci ha fatto super piacere collaborare e in cuor nostro speriamo che le nostre strade si possano incrociare nuovamente in futuro, possibilmente non in commissariato.
Inoltre, per la sezione consiglio Indie, abbiamo anche la straordinaria partecipazione di Francesco Alteri di Gameromancer e The Games Machine, un amico e un collega che stimiamo molto e con il quale è sempre un piacere collaborare e parlare del nostro medium preferito.
Vi auguriamo buona lettura e non dimenticatevi di seguire quella bella persona di Camilla Fasola su Instagram, che le nuove grafiche di questa newsletter (come quelle prima) sono tutte opera sua, sua e soltanto sua.
Abbiamo regalato il CD di Festivalbar 2005 a Federico, che non sembra aver gradito.
Nelle puntate precedenti…
Giocare la musica, traduzione letterale
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Un mio grande amico un giorno mi invitò al cinema e mi propose di vedere Baby Driver, un “heist movie” (film di rapine) di Edgar Wright. Era il 2017, agosto, faceva un caldo inenarrabile e io non avevo avuto nemmeno il tempo di vedere un trailer. Quel giorno, come del resto ho sempre fatto, mi sono affidato ai suoi gusti e alla garanzia che questo film mi sarebbe piaciuto. “È lo stesso che ha fatto Hot Fuzz” mi ripeteva, sarà per quello che mi sono fidato ciecamente, sapevo di non poter rimanere deluso.
Entriamo nella sala, prendiamo posto, le luci si erano appena spente. Un macchina rossa entra nell’inquadratura, viene tirato il freno a mano. Un riff rockeggiante comincia ad imporre il ritmo alle scene, è sublime. Quattro personaggi che si guardano negli occhi, mentre il montaggio cambia inquadratura ad ogni schitarrata. Bellbottoms in sottofondo, suonata dalla The Jon Spencer Blues Explosion. Tre dei quattro scendono dall’auto, sbattendo le portiere a tempo di musica. Camminano in fila sino a raggiungere la banca. Uno rimane nell’auto, indossa occhiali da sole e ha musica nelle cuffiette, attende gli altri. Tutti i suoi movimenti sono scanditi dalla musica, tutto intorno a lui va a tempo di musica. Il rumore di uno sparo interrompe la quiete e poco dopo i tre escono dalla banca di corsa, mentre poliziotti da tutta Atlanta si fiondano all’inseguimento, con sirene assordanti e lo stridio delle gomme sull’asfalto.
L’inseguimento dura sei minuti, e bastano solo quelli per convincere una qualunque persona a continuare la visione di Baby Driver. Quel lungometraggio mi ha, semplicemente, incantato, mettendo su schermo una sequenza di scene maestosa e legate a doppio filo da una playlist musicale affascinante. Le canzoni in sottofondo non sono lì giusto per riempitivo, non sono secondarie. La storia dialoga con la musica e dopo un po’ non è soltanto una questione di “inseguimenti con Brighton Rock dei Queen” o “sparatorie e Tequila! (papapapapapapa)”, è qualcosa di più. La playlist di quel film è il film stesso. I testi di queste canzoni, uscite in periodi storici diversi e di generi trasversali, compongono un substrato attivo della pellicola. Un sottotesto che interagisce con la storia di Baby, il protagonista, perché è lui che mette le canzoni dal suo iPod. È una musica, come si suol dire, diegetica, arriva dalla scena ed è ascoltata direttamente dal protagonista e noi siamo coinvolti poiché non sentiamo soltanto le strimpellate dalle sue cuffiette ma anche un altro elemento di caratterizzazione del personaggio: l’acufene. Durante le scene di silenzio, infatti, se si presta attenzione, si può sentire un fischio perpetuo.
Tornando però in superficie, e senza addentrarci troppo in un’analisi di Baby Driver, la sincronia tra le azioni in scena e il ritmo della musica è possibile ritrovarlo anche nei videogiochi. Non bisogna andare troppo indietro con il tempo e ci basterà riportare alla mente Metal: Hellsinger di The Outsiders, senza tirare in ballo i videogiochi ritmici e musicali tipo Guitar Hero o Rock Band ( anche Lego Rock Band solo per l* intenditor*). Se già la formula da sparatutto ritmico proposta da Bullets Per Minute mi aveva stregato per la sua genialità e per scariche di adrenalina difficilmente replicabili, Metal: Hellsinger porta tutto quanto su un altro livello.
Affrontare l’inferno a colpi di pistola mentre in sottofondo passano canzoni metal incantevoli è un piacere audiovisivo difficilmente descrivibile. Ancora più interessante è quando queste canzoni, composte peraltro da fior fior di artist* metal, cantano le gesta della protagonista, nel suo periglioso viaggio per recuperare la propria voce e cantare giustizia nei confronti dei demoni infernali. Metal: Hellsinger ha dei pezzi che raccontano una storia. È, senza girarci troppo attorno, un album metal da giocare e questa sua musica riecheggia nella testa anche quando non stiamo giocando. Il menu principale richiama le copertine degli album in vinile e tutto sembra essere costruito per veicolare questo messaggio e questo profondo legame tra la musica, il gameplay e la narrazione.
Da ciò, in realtà, si può partire per un discorso più ampio e sfaccettato. Se Metal:Hellsinger è un album musicale da giocare, in futuro potrò giocare anche un album dei Metallica? Oltre ad ascoltarlo, ovviamente. Quale sarà il futuro legame tra videogiochi e musica?
In ambito cinematografico gli esperimenti non mancano, il cinema è stato, ed è tuttora, una forma d’arte estremamente di massa e coinvolgente, con produzioni continue e milionarie. Diversi artist* nel corso degli anni hanno realizzato dei film musicali con la propria colonna sonora. Non parlo, chiaramente, dei classici biopic come Bohemian Rapsody, Elvis o The Dirt, mi riferisco proprio a produzioni con un loro storytelling unico e di fantasia, che non riguarda direttamente la storia della band o dell’artist*, ma che ha i suoi membri come protagonisti, con canzoni del loro repertorio. Help! dei The Beatles, uscito nel 1965 e con regia di Richard Lester, è un grande esempio, con il povero Ringo Starr che cerca di disfarsi di un anello che appartiene ai seguaci della dea Kalì. Oppure Yesterday, film del 2019 diretto da Danny Boyle, in cui un giovane musicista, per colpa di un blackout globale, si ritrova ad essere l’unico che si ricorda dei The Beatles.
Come possono essere utilizzati i videogiochi per promuovere una narrazione transmediale che, però, parte dalla musica. L* artist* musicali dovrebbero pensare più spesso a questa alternativa per i loro pezzi, potrebbe aggiungere più significato alla loro canzone o al loro disco. Se già di per sé i video musicali, soprattutto quelli più elaborati, sono un ottimo modo per trasmettere al meglio il proprio messaggio, i videogiochi potrebbero aprire alla creatività soluzioni ancora poco esplorate. A distanza di anni, e questa è una cosa che patisco profondamente, sento ancora il desiderio di poter “giocare” il video musicale di Californication dei Red Hot Chili Peppers.
Il videogioco sta diventando un medium centrale, artisticamente e commercialmente, e le sue fusioni e contaminazioni con altri medium e format sono magnifiche da osservare. La musica e la colonna sonora, come nel cinema, possono essere centrali nella narrazione videoludica e sarà quindi curioso vedere come si evolverà l’utilizzo del videogioco negli anni a venire.
“Hai portato l’mp3?”
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Di musica non ci capisco niente. A stento la ascolto.
Davvero, non scherzo. Sono la persona meno indicata per scrivere un articolo che parla di musica, ma abbiamo un ospite esperto quindi con gioia mi accollo il compito di scrivere l’articolo brutto prima del suo, così che possa brillare dieci volte di più (non che ne abbia bisogno, ma mi immolo lo stesso. La bruttezza di questo articolo quindi è volontaria, ok?! Non contradditemi). Qualcuno deve pur farlo, ma Damiano è una persona competente quindi devo salvare io la situazione (anche ‘stavolta).
Non che io detesti la musica, eh. Ho un fiero passato adolescenziale fatto di Green Day, Blink182, Red Hot Chili Peppers, Rammstein, SOAD e tanti altri. Ho anche suonato la batteria per alcuni anni. Era bello vedere l* ospiti entrare in casa, vedere una batteria e un pianoforte nell’angolo del salotto e rimanere di sasso scoprendo che a suonare quest’ultimo era mio fratello; e che lui, a differenza mia, è portato per la musica.
Anzi, se c’è qualcuno che dovrebbe scrivere un articolo su musica e videogiochi probabilmente è lui. Ha iniziato così: un ottimo orecchio, una pianola e le musiche di Nobuo Uematsu, nessuno spartito.
Ora che ci penso, non riesco a scollegare la musica nei videogiochi da lui. Da che ho memoria, l’ho sempre vissuta con lui. Concerti dell’orchestra di Final Fantasy (in cui io finisco per anticipare la frase cantata in coro dalla platea, creando un vortice oscuro di imbarazzo nel mio settore con me come buco nero; un classico), cd e mp3 pieni di “unknown_track_15”, e momenti in macchina in cui lui che ride vedendomi scoppiare in lacrime in maniera automatica quando parte la colonna sonora di Gris. Sano bullismo fraterno.
Tra due settimane andremo al Lucca Comics & Games insieme, e io so già che lui passerà la vigilia della partenza sistemando le varie musiche da ascoltare insieme in macchina, e per commentare i relativi giochi.
Lo so, questo articolo inizia a sembrare una lettera sentimentale a mio fratello, ma tanto lui non legge Still Alive quindi AH AH! Ti sto dipingendo come una bella persona e tu non lo sai GNE GNE!
Quelle quattro ore di macchina saranno scandite dai ricordi che ogni traccia ci riporterà alla mente. Boss fight, momenti di esplorazione (le musiche di The Witcher e di Red Dead Redemption non mancano mai), scene drammatiche, linee di dialogo, colori. Un viaggio di sinestesie accompagnato dal mio piede sinistro che tiene il tempo e dalle sue dita che si appropriano delle note danzando sul volante.
Sono la persona meno indicata per scrivere un articolo sulla musica, ve l’ho detto. Sono la persona meno indicata per scrivere di musica, perché non ne ascolto quasi più; e non so cosa mi ha portata a eliminarla gradualmente dalla mia vita. I videogiochi però sono bestie ostinate: cercano di rimanermi addosso in ogni modo, e i loro ecosistemi musicali non fanno eccezione. Prendete Genesis Noir, per esempio. Un gioco che basa il suo intero stile grafico e il suo andamento narrativo sulla musica jazz, che sembra dirigere ogni singola linea di codice. Ecco, io come faccio a parlarvi di una cosa del genere? Non posso. Perché di musica non so parlare.
Oppure Gris – di cui smetterò di blaterare solamente il giorno in cui vi coalizzerete per costringermi a farlo – che oltre ai colori abbina anche le musiche alle fasi del lutto, riuscendo a farti provare intensamente rabbia mentre cerchi di resistere alle folate di vento, o ti spinge a chiuderti in te e ad abbandonare il tuo corpo sotto il peso della gravità mentre nuoti in un abisso; tutto usando un piano e dei violini. Forse ci stanno anche delle viole e un violoncello. Credo. Non giudicatemi, ho messo le mani avanti ancora 30 righe fa.
So però che lungo l’autostrada quelle note partiranno, io esclamerò un “No dai, Gris no!” asciugandomi le lacrime, e mio fratello si metterà a ridere, cercando di nascondere i singulti.
Ecco, io sono la persona meno indicata per scrivere di musica, ma in qualche modo questo articolo si sta scrivendo. Perché i videogiochi sono degli esseri strani, sono dei blob che si alimentano di ogni cosa vivente con cui entrano in contatto, e se si prova a descriverli nelle singole parti si finisce per fissarli e non capire da che parte sia il sopra e il sotto. “Sì guarda, il blob ha una parte azzurrina che finisce proprio qui e poi sfuma in maniera impercettibile per diciassette totalità fino a diventare un lilla che tende al viola pantone 2583” e invece no! Magari fosse così facile! Ogni sua parte travalica la pura conoscenza tecnica.
Quindi si finisce inevitabilmente per cercare di descrivere qualcosa e parlare di altro, perché diamine figuriamoci se si riesce a trovare una linea netta in tutto questo. Ecco quindi che io volevo parlare della musica nei videogiochi e ho finito per raccontarvi a cosa la associo: una ritualità intima che vivo con la persona sulla quale mi sono plasmata.
Ditemi voi se tutto ciò ha senso.
Mannaggia.
La musica nei videogiochi e nel cinema
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Secondo Geoff King, docente in Film and Television Studies alla Brunuel University di Londra, e Tanya Krzywinska, docente in Digital Games presso la Falmouth University, esistono sempre più connessioni tra il processo di progettazione e l'orientamento visivo del pubblico sia nel cinema che nel mondo dei videogiochi.
Nel loro saggio An Analysis of the Issues and Methodologies in ScreenPlay arrivano alle conclusione che se pur esistano differenze notevoli tra l* videogiocator* e l* spettator* cinematografici, in quanto da un lato si esercita un’azione che permette di stravolgere o modificare la narrazione e dall’altro si assiste quasi passivamente alla conformazione della storia, in entrambi i casi i filmati introduttivi servono a fornire motivazione e direzione al personaggio. “La sequenza d'azione consente al giocatore di risolvere la linea causale introdotta nel filmato”. Le sequenze cinematografiche stabiliscono problemi che l* giocator* deve risolvere, rivelando anche gli effetti narrativi del gioco stesso.
Soprattutto all’interno dei filmati che guidano l* videogiocator* nel focus della narrazione, sta prendendo sempre più piede la concezione di una musica generativa. Il termine è coniato per la prima volta da Brian Eno e si basa su processi compositivi in cui la forma di un brano si sviluppa da un insieme iniziale di elementi musicali e regole definiti dall* compositor* e/o da un sistema naturale o artificiale che possa rappresentare il perfetto collante tra l’esperienza visiva e quella videoludica, condizionando due arti sempre più interconnesse tra loro. Se fin dalla nascita dei videogiochi il cinema era stato l’elemento per raggiungere un pubblico sempre più ampio “specialmente con l'avvento delle console domestiche, per commercializzare videogiochi al di fuori della nicchia delle sale giochi e capitalizzare la cultura popolare permettendo ai videogiochi di ampliare i propri universi narrativi”, oggi è lo stesso formato audiovisivo che sta prendendo spunto dall’evoluzione della macchina sonora che accompagna da sempre il formato videoludico.
L’interattività delle suddette composizioni permette all* spettator* contestualmente all* videogiocator* di potersi immergere nella realtà narrata, rispondendo agli stimoli sensoriali a 360 gradi. Secondo il sociologo Lello Savonardo, docente di Sociologia della musica, la tecnologia digitale influenza, condiziona, propone nuove prospettive di realizzazione e di fruizione del prodotto musicale determinando inedite opportunità creative. “Il processo tecnologico non solo modifica la funzione e il significato delle suddette opere ma stimola anche nuove tecniche artistiche e modalità produttive.”
La colonna sonora ha rappresentato un’aggiunta fondamentale ai determinati stili di gioco, così come nel cinema aveva permesso di catalogarne e riconoscere i generi. E si può immaginare che la progettazione di approcci più complessi in cui una colonna sonora digitale risponde dinamicamente alle azioni dell* giocator* o allo stato di gioco possa, nell’immediato futuro, influenzare le tecniche compositive cinematografiche così come sta accadendo all’interno di alcuni progetti audiovisivi, come nel caso di Everything Everywhere All At Once, nuovo film dei Daniels, in cui la manifestazione del multiverso diventa l’esperienza sonora nel far corrispondere ad ogni azione ogni conseguente composizione.
Le teorie in merito a questa connessione sempre più preponderante non sono molteplici, ma alcune considerazioni ci permettono di cogliere come potrà manifestarsi una musica sempre più congiunta tra cinema e videogiochi. Winifred Phillips, compositrice di alcuni dei titoli più importanti come Assassin's Creed, God of War, LittleBigPlanet, e The Sims, afferma che la musica può aiutare a definire alcuni stati mentali per l* videogiocator* che lei definisce come "essere nella zona" – attribuendo alla musica il compito di immergere a livello cognitivo l’individuo, aiutando l* giocator* a bloccare i suoni di distrazione e aiutandol* anche a concentrare la loro attenzione sugli stimoli forniti dal gioco stesso.
Allo stesso modo, Zach Whalen, professore in Digital Studies presso l’University of Mary Washington, suggerisce che affinché sia il mondo del gioco che i suoi personaggi diventino credibili così come avviene a livello cinematografico, abbiano bisogno di una musica a tema distinta, attribuita a luoghi e personaggi diversi all'interno del gioco; il cosiddetto tema sonoro o leitmotiv, capace di richiamare il personaggio narrato attraverso lo scandire di brevi e impalpabili note. La musica rafforza le motivazioni dei personaggi, aiutando anche l* giocator* a navigare all'interno della narrazione e segnalando cambiamenti nella storia così come accadeva già all’interno di alcuni titoli come Red Dead Redemption i cui capitoli venivano scanditi dalle differenti canzoni composte da Jose Gongalez o nel raccontare il rapporto tra Ellie e Joel attraverso il solo scandire di una chitarra in The Last Of Us: Part 2.
Il compromesso tra realtà virtuale e cinematografica continua a sfidare compositor* sempre più coinvolti in entrambe le arti, aderendo tra il suono della musica cinematografica e l’esperienza sensoriale della realtà videoludica e accrescendo l’impatto emotivo fornito dalla stretta sincronizzazione degli eventi musicali e visivi.
di Federico De Feo, Rolling Stone e Domani
Non sono ver* amic* se non ti consigliano indie
Everhood is love, Everhood is life
Non si può parlare di giochi musicali senza parlare di Everhood. Di quelle note che sono passate dalle casse alle pareti della stanza e di cui posso sentire ancora l’eco. Everhood, però, non è solo musica. Everhood è il diapason per accordare l’anima. Everhood è i mille volti che incontri per il tempo di una partita, che diventano Do, Re, Mi e Fa nell’immaginario spartito che è la nostra mente. Le sinapsi non possono scordare il dolore di chi hai deciso di abbandonare in Everhood e te lo ricordano suonando costantemente una nostalgica litania.
La chiave di violino per leggere l’intera opera è la vita, la rinascita, la speranza che tutto abbia un senso. Perché in Everhood tutto ha senso solo alla fine. Il sudore che hai versato per schivare quei proiettili a ritmo di musica, trova il suo compimento solo e solamente quando Everhood svela a tutti il segreto di ogni canzone ben riuscita: il silenzio. Perché ciò che davvero rende la musica speciale per noi umani che contiamo il tempo che scorre in funzione dei battiti del nostro cuore, è il vuoto, lo spazio tra le note. Ed Everhood quando deve far più male smette di suonare. Ti toglie anche quei pochi colori sullo sfondo, per dimostrare a chi lo gioca che per stare bene con gli altri, prima bisogna imparare a stare bene da soli.
Everhood è Musica. Everhood è un gioco impossibile da spiegare se non con metafore come quelle che avete letto fino ad ora. Perché è impossibile spiegare la vita senza viverla e Everhood va vissuto sin dalla prima strana scelta.
Sviluppator*: Chris Nordgren, Jordi Roca
Disponibile su: Nintendo Switch, Microsoft Windows
Prezzo: € 9,99
Durata: 6 ore
di Francesco Alteri, Gameromancer e The Games Machine
Collegh* fanno cose
In questa puntata di Still Alive, per la sezione colleghi fanno cose, vogliamo consigliarvi le newsletter dei nostri colleghi e collaboratori di Niente da Dire.
Partiamo da Il Corno del Rinoceronte, la newsletter a tema sessualità del direttore di Niente da Dire Daniele Daccò (aka Il Rinoceronte), che ha portato la sua rubrica sui tabù del sesso anche su Playboy e che ha da poco inaugurato il suo spazio newsletter. Affronta la tematica della sessualità in modo leggero, raccontando le sue esperienze in modo comico e con parallelismi con la cultura nerd. Se siete interessati al Giappone e ai Panda Rossi, la newsletter Red Panda Onigiri saprà regalarvi uno spazio sicuro e tranquillo. Monica Fumagalli (aka Monigiri Cal.38, nonché direttrice di Niente da Dire) vi racconta il Giappone e invia gli argomenti e le curiosità che la fanno stare bene, che in questo periodo di insicurezza e ragionevoli paure è una mail che scalda il cuore.
Se siete invece interessati alla scrittura e a migliorare le vostre abilità di storytelling, la newsletter Esploratori di Storie di Viola Sanguinetti fa al caso vostro, con consigli ed esercizi disponibili nella vostra mail. Infine c’è anche La Corte di Pagine e Inganni, in cui vengono consigliati libri, serie tv, film e giochi da tavolo da parte di divers* influencer e content creator del web, con la partecipazione anche della nostra collega Silvia Escilgioco.
Se non lo fate già, seguiteli anche su Instagram. Sono persone stupende e car* amici*, nonché collegh* preparatissimi e sempre all’opera su nuovi progetti!
Instagram: Rinoceronte, Monigiri, Viola, Escilgioco.
Addio, Addio…
Uè, allora, vi siete ripres* dallo sconquassamento causato dal cambio di data? Può sembrare una sciocchezza, ma questo piccolo spostamento ci rende le cose un pochino più facili, quindi davvero, grazie della pazienza!
In questa puntata di ottobre, come avete visto, è stato con noi il buon Federico De Feo (seguitelo su Instagram) che, come molt*altr* prima di lui, ha avuto la malsana idea di rispondere a un messaggio di Damiano. Mai farlo, che poi vi tocca collaborare. Guardate per esempio il povero Francesco Alteri (Seguite anche lui mi raccomando), che si stava facendo tranquillamente le sue cose girovagando sulla metro di Roma, ed è stato talmente incosciente da rispondere di sì a un messaggio di Ilaria che iniziava con “Ohi Fra, ti va di farmi un favore?”.
Trappole subdole. Ma che noi siamo felici di attuare perché dai, cioè, vah che puntatona che vi è arrivata!