Signore, signori e signor*, accomodatevi!
Prendete posto, forza! State per leggere qualcosa che cambierà per sempre la vostra vita. Esseri grotteschi danzeranno di fronte ai vostri occhi, il terrore e la follia vi prenderanno per mano e vi condurranno tra i file dell’antitrust, mentre creature capaci solo di mordersi la coda rotoleranno ai vostri piedi.
Forza, avvicinatevi! Prendete dei popcorn, dello zucchero filato, un Toblerone – se vi va – e stringetevi a chi vi è più caro. Questo mese a Still Alive è in scena il mostruoso e, si sa, una volta che se ne vede la forma è difficile chiudere gli occhi.
Come sempre, grazie a Camilla Fasola per aver addobbato con le sue immagini questo teatro, e a Matilde Ulivi per averci aiutato ad allestire lo spettacolo in anteprima. Signore, signori e signor*, ora si spengono le luci. Inizia, Still Alive.
Nelle puntate precedenti…
I Robber Barons del videogioco hanno incubi
5 minuti di lettura
Il mito del successo ci ha sempre fatto gola, è una storia che ci piace sentire e che, in qualche modo, speriamo parli di noi e del nostro futuro. Il mondo delle Big Corp e dell’imprenditoria americana è piena di queste storie, della gente che comincia da un garage e che diventa mito indiscusso. Queste storie sono talmente un mito che quasi nessun* si sente nella posizione di criticare: l’opinione verrebbe tacciata per essere in realtà frutto di invidia. Il fatto è che le Big Corp sono, come vengono definite anche dalla stampa americana, dei leviatani. Creature caotiche ed estremamente nebulose, con confini sfumati e, perciò, di difficile comprensione. Spaventano, sono mostruosi, ma allo stesso tempo attraggono sensualmente per la loro storia e per l’essere partiti da quello sperduto garage.
Anche la game industry è vissuta di queste storie, con annesse battaglie tra corporation per chi fosse migliore. Uno scontro tra titani destinato ad intrattenere e a nascondere le loro, anche evidenti, intenzioni. Sin dall’alba dei tempi, l’industria del videogioco ci ha abituato a retoriche e campagne marketing molto aggressive e che miravano a convincere il pubblico che una console era migliore di un’altra sulla base delle esclusive, di feature o design. O, magari, anche sulla base del nulla più assoluto. Il fine ultimo era vendere un determinato prodotto, lo spazio nel mercato era già molto saturo durante il primo boom dell’industria e per farsi notare hanno pensato di alzare la voce, cambiare i toni e utilizzare strategie che avevano l’obiettivo di creare vere e proprie fazioni.
Queste dinamiche hanno continuato a perdurare e si sono intensificate nel corso degli anni. Ormai le abbiamo interiorizzate ed eravamo diventati noi a fare marketing per loro.
Se in questi ultimi anni la percezione sembra indicare che tale acredine si sia dissipata, grazie anche alle feature cross-platform che permettono agli utenti di giocare assieme non importa quale sia la loro piattaforma, questa comunque rimane dormiente nel nostro animo e si risveglia nelle occasioni “speciali”. L’acquisto di Activision-Blizzard da parte di Microsoft è una di quelle occasioni “speciali” in cui questo animo riemerge e vomita sui social network una valanga di affermazioni partigiane.
Il fatto che noi che facciamo informazione, e di conseguenza l’utenza, non stiamo prendendo con la giusta preoccupazione questa acquisizione è un grosso problema. Questo perché i regolatori antitrust non sono stati istituiti senza una ragione. Il loro obiettivo è quello di proteggere la società e i consumatori dai monopoli e dagli abusi di posizione dominante nei relativi mercati. Insomma, la mano invisibile del libero mercato ci stava toccando e il problema dei monopoli, neanche a dirlo, non si stava risolvendo da solo.
Negli Stati Uniti, lo Sherman Act firmato dal presidente Harrison nel 1890 era stato pensato per andare contro ai giganteschi monopolisti che avevano non soltanto un potere economico, ma anche un grande potere politico. Questi venivano comunemente definiti Robber Barons, i “baroni ladroni” per dircela all’italiana. Per quanto sia comodo pensare che situazioni simili non possano più avvenire, la storia ci ha sempre smentito in un modo o nell’altro. Sto leggendo recentemente degli interessanti articoli che definiscono i nuovi big dell’industria tecnologica come dei novelli Robber Barons, definendoli però con il nome di Tecno-Feudatari. Ne hanno parlato Fabrizio Tonello su Il Manifesto e Francesco Oggiano su Vanity Fair, riprendendo questa espressione coniata dalla stampa americana.
Le big tech, che coinvolgono anche lo spazio del videogioco, devono essere tenute d’occhio. La commissione europea ha recentemente aperto una seconda fase di investigazione sull’acquisizione più grande del settore videoludico, ricordo che stiamo parlando di circa 69 miliardi di dollari: una corporation che ne sta comprando un’altra. Questi giganteschi agglomerati economici sono un incubo vero e proprio, e come ogni incubo, hanno un altro incubo. In questo caso il loro terrore, nell’Unione Europea è rappresentato da Mergrethe Vestager, la commissaria alla competizione della Commissione Europea, una politica danese ed esponente del partito Radikale Venstre, letteralmente Sinistra Radicale, che negli anni ha messo un freno all’espansionismo delle Big tech. Insediata in quel ruolo nel 2014 durante l’amministrazione Junker e riconfermata poi nel 2019 all’inizio dell’amministrazione von der Layen.
Durante il suo operato, Apple ha versato tasse arretrate al governo irlandese per 14,3 miliardi; Facebook è stato multato per 110 milioni di euro per aver fornito di informazioni fuorvianti durante l’acquisto di Whatsapp; la società Alphabet, che possiede Google, ha pagato una multa di 4,1 miliardi per aver imposto restrizioni illegali ai produttori di dispositivi android.
L’acquisizione di Activision-Blizzard deve quindi tenerci sull’attenti, poiché, oltre ai due sì concessi dalle autorità antitrust brasiliane e saudite, l’antitrust britannico (CMA), quello europeo (CE) e quello americano (FTC) stanno sollevando delle perplessità. Stanno, infatti, analizzando questa gigantesca acquisizione dal punto di vista della concorrenza di mercato, dei mercati futuri del cloud gaming e degli abbonamenti, delle esclusive, dei sistemi operativi per PC, sui dati dell* consumator* e sull* lavorator* (che in questo momento stanno lottando per la sindacalizzazione). L’unica cosa che possiamo fare in questo processo, è non dare adito alla console war, soprattutto di fronte ad una situazione così delicata. Il nostro obiettivo è, altresì, di spiegare il funzionamento di queste istituzioni, delle persone che ci lavorano e dei documenti che vengono pubblicati. Facciamo questo lavoro e lasciamo lavorare le istituzioni competenti. Altrimenti stiamo facendo nuovamente il gioco del marketing, e avremo nuovamente perso l’occasione per cambiare linguaggio con cui parliamo di videogiochi.
Comunque il libero mercato mi ha toccato con la sua mano invisibile, se mi date un pupazzetto vi indico anche dove.
Fonti: IlManifesto, Vanity fair, Il Sole 24 Ore, IlPost, Repubblica, Videogiochitalia.it, Domani.
Non sono ver* amic* se non ti consigliano indie
Inside - Run boy run
Già dal primo istante, ragazzo, corri. Fai piano però, non farti vedere. Ti sembra che non ci sia nessuno, e invece guarda là: le luci dei fanali si avvicinano, aumentano, arrivano a illuminare tutto quel buio che ormai è diventato un luogo sicuro. Corri, tu sai dove, noi no. Corri per questi campi desolati, per queste rovine, fatti strada tra i corpi putrescenti degli animali da fattoria, infilati nelle finestre, striscia nei cunicoli dalle pareti di metallo, ma non fermarti.
Intorno a te è pieno di esseri umani che non sanno di esserlo; forse un tempo lo sapevano, o forse non lo sono mai stati. Ammassali, ordina loro cosa fare, sfruttali per permetterti di correre. Tutto è sempre più buio, tutto è sempre con meno vie d’uscita.
Sviluppator*: Playdead
Disponibile su: iOS, Nintendo Switch, PlayStation 4, Microsoft Windows, Xbox One, Classic Mac OS
Prezzo: € 19,99
Durata: 4 ore circa
Il futuro Prometeo
8 minuti di lettura
ATTENZIONE: questo articolo contiene spoiler sul gioco Inside.
Se non ne volete, passate oltre.
Lezione di scrittura 101: quando non sai come iniziare un testo, parti con una citazione colta o con un riferimento culturale.
“Monstrum è in sé "avvertimento" (dalla radice latina di mon-eo) e fa parte del vocabolario religioso latino relativo all'attività divinatoria, insieme a ostentum, portentum, prodigium, ecc., tutti termini che indicano fenomeni eccezionali suscettibili d'interpretazione mantica (ovvero divinatoria): il suo uso appare preferito quando si tratta di fenomeni che si attuano in forma contro natura, nella sfera del mondo animato formando la base per il successivo significato di figura aberrante in quanto si discosta a vario titolo dalle forme naturali proprie degli esseri viventi.” [cit. Treccani]
Medaglia d’oro in come apparire colta sfruttando l* altr*.
Insomma, tra i vari archetipi, i loci amoeni, i continui rimaneggiamenti a miti, alle storie dei Santi, etc… c’è anche lui, il mostro. Un essere che con le sue sembianze si mostra “contro natura”, e che diventa il mezzo tramite il quale ciò che è divino (Dio stesso, la natura, il fato, o quel che sia) avvertono, istruiscono gli esseri umani. In letteratura se ne trovano tantissimi, dai mostri mitologici ai demoni (o anche agli angeli) della letteratura religiosa, dal Calibano di Shakespeare al Dracula di Stoker, e poi via verso lupi mannari, streghe, esseri dalle sembianze umane con tratti mostruosi o mostri con tratti umani.
Il mostro è qualcosa di “altro”, o che viene visto in tal modo dalla società all’interno del racconto. È l’anomalia. Spesso però è il mostro stesso a mostrare, a rendere evidente quanto la reale mostruosità sia in coloro che lo circondano, nelle persone che gli vivono attorno e che lo guardano con occhi colmi di orrore.
Nei videogiochi abbiamo un po’ perso questo strumento, o è solo una mia impressione?
Certo, abbiamo Silent hill 2, dove i vari mostri sono la manifestazione del subconscio, della repressione sessuale e dei sensi di colpi del protagonista; abbiamo Death Stranding, con l’entità dell’estinzione (che non rivelo chi sia una di queste entità, che il titolo è ancora “fresco”). Altrimenti abbiamo The Witcher, dove – sfruttando continue rielaborazioni delle fiabe – non solo incontriamo esseri mostruosi, ma veniamo noi stess* mess* nei panni di un essere considerato tale.
He'll chop and slice you
Cut and dice you
Eat you up whole.[The Witcher 3 - Lullaby of Woe]
C’è un mostro però che, un po’ per natura del gioco stesso, un po’ per il tipo di linguaggio – basato sull’assenza, sulla privazione di tutti quei dettagli che hanno la funzione di riempire il vuoto delle texture – e un po’ per l’assenza di grandi dichiarazioni da parte dell* sviluppator*, ogni tanto mi torna in mente e mi manda ai matti. Sto parlando dell’Huddle di Inside, o meglio, del blob.
Nessuna linea di dialogo, nessun testo da leggere, nessuna parola, nessun simbolo. Vuoto, nebbia, rovine di piccoli centri abitati, pezzi di macchinari abbandonati, animali da fattoria divorati dai vermi. Gli unici esseri umani oltre noi o ci inseguono – per un motivo che non capiamo – o sono ridotti a gusci vuoti, privi di libero arbitrio, guidati da meccanismi di controllo mentale o semplicemente mossi da una faticosa inerzia.
E poi, il blob. Tutta quella strada, tutti quegli enigmi per arrivare ad esso. Sospeso al centro di un utero metallico, sommerso, intrappolato – e forse alimentato - da una ragnatela di tubi. Al nostro arrivo, ogni scienziat* dello stabilimento è lì ad ammirarlo. Noi corriamo, troviamo il passaggio per entrare in quelle acque, lo liberiamo dai tubi, ci spogliamo e ci uniamo a lui. Ora siamo l’Huddle, il blob, il mostro.
E allora rantoliamo, ci agitiamo scomposti cercando di reggerci sulle nostre sei gambe, mentre dalle nostre carni si agitano braccia, crani, volti non definiti. Intorno a noi le persone scappano. Una corsa frenetica e confusa verso una qualunque uscita, verso una libertà che il gioco non ci ha mostrato nemmeno durante i suoi primi attimi, ma che ora in questa frenesia sembra voler essere sperata. Corriamo, abbattiamo muri, schiacciamo individui sul nostro passaggio, rischiamo nuovamente di venire intrappolati e poi, di colpo, il mondo esterno. Una caduta incontrollata fa rotolare l’Huddle al di fuori dei nostri comandi, e lo fa arenare sulla spiaggia, a pochi centimetri dall’oceano. Una luce innaturale, a occhio di bue, lo illumina. Il gioco finisce qui.
Cosa diamine sei?
Le teorie sul significato di Inside sono tante, tantissime. Vi basta una rapida ricerca su Google e troverete quanto di più meraviglioso può vedere la mente umana in qualcosa di pulito e di lasciato inspiegato. L’equivalente videoludico delle macchie di Rorschach.
Ma c’è qualcosa in quel blob che, mannaggia a me, non riesco a non vedere. Che sia colpa del mio ritrovato amore per i romanzi gotici, o perché proprio in questi giorni ho deciso di ascoltarmi l’audiolibro, fatto sta che in quel blob – ma in realtà un po’ tutto il gioco – non riesco a non vederci lo scheletro di Frankenstein, di Mary Shelley. Ora, non ho spazio per raccontarvi quanto sia ricco di significati legati alla vita della sua autrice quel libro, e quanto sia il dr. Frankenstein che il mostro – lasciato senza nome, un po’ come il nostro blob – siano la realizzazione letteraria di tanto dolore e di tante speranze distrutte. Posso solo invitarvi a leggere anche solo una breve biografia di Mary Shelley, e poi leggere il libro. Ne vale la pena, fidatevi.
Ma perché diamine io ci vedo questo legame? Non so nulla dell* sviluppator*, non hanno mai lasciato particolari dichiarazioni, delle loro vite, del loro processo creativo si sa solo che il blob è frutto del lavoro di vari* programmator* che si sono susseguit* nel corso degli anni di sviluppo: ognun* aggiungeva un pezzo, che fosse una gamba, un braccio o una parte di carne informe.
Un ammasso di membra, nella speranza che diventasse un essere umano, in un mondo dove ormai sembra raro vederne uno, e dove la morte sia forse troppo accettata.
L’essere non solo è vivo, ma ha coscienza di sé, ha coscienza di esistere e di essere diverso. Comprende ciò che gli viene fatto, e la condizione in cui è posto, e prima si ribella, poi cerca di fuggire.
La prima volta che nel libro di Shelley ci viene presentato il mostro è attraverso gli occhi di un avventuriero, un esploratore che sta viaggiando con il suo equipaggio lungo il mari del profondo nord. Nella coltre di nebbia, trainato da una slitta, appare in lontananza un uomo, dalle fattezze però più grandi. Un essere enorme che si dirige, senza guardarsi intorno, verso nord. Due ore dopo, l’equipaggio incontrerà quello che si rivelerà essere il dr. Frankenstein. Con le membra ghiacciate, il volto vecchio, sciupato e stanco, il dr. Insegue la sua creatura senza sosta cercando di raggiungerla per porre fine alla sua vita e, in seguito, alla propria.
Nel corso di Inside, si riescono a scorgere altre vasche simili a quella che contiene l’Huddle. Altri esperimenti, altri tentativi di creare la vita falliti.
Noi però cosa siamo? Perché questo ragazzino corre senza sosta, come se sapesse esattamente in che punto è rinchiuso questo essere post apocalittico? Una delle teorie più gettonate vede il ragazzino come guidato mentalmente dal blob stesso. Siamo, fin dall’inizio, un essere cosciente della propria diversità, della propria prigionia e del proprio dolore, e vogliamo scappare. Ma la corsa del blob non dura tanto a lungo quanto quella del mostro di Shelley.
Circa a metà gioco c’è anche la possibilità di scovare un finale segreto. Nel mezzo di un campo di grano si può trovare un passaggio, un bunker; qui dentro – dopo un enigma per nulla semplice – si arriva a una sala con un interruttore. Se si preme l’interruttore le luci si spengono, il nostro personaggio assume la stessa posa degli altri esseri umani privi di coscienza e il gioco finisce.
Non vi mentirò, questo è il mio finale preferito. Se l’intero gioco è la disperata fuga per la libertà di un essere creato dall’uomo per un qual si voglia fine di sopravvivenza o di potere, e questa libertà non è fisicamente possibile, allora come può essere lo spegnimento di ogni forma di alimentazione un finale ingiusto?
Il mostro condanna Frankenstein a un’esistenza passata a dargli la caccia, così come il dr. ha condannato il mostro, fin dal primo istante, a una vita priva della possibilità stessa di essere pienamente vissuta. Due maledizioni che sono destinate a inseguirsi e ad alimentarsi fino alla fine. In Inside, invece, l’Huddle non ha questa possibilità, non può condannare chi lo ha creato. È un essere solo in una civiltà di mostri.
Collegh* fanno cose
Anche questo mese nella sezione collegh* fanno cose preferiamo non consigliare articoli, ma anzi cogliamo l’occasione per affrontare una tematica che, qualche giorno dopo l’avvenimento, ha smesso di far parlare noi addetti all’informazione. Innanzitutto, cogliamo l’occasione per fare i nostri migliori auguri alla redazione di Final Round, il nuovo progetto editoriale diretto da Francesco Fossetti e Marco Mottura. In un periodo di crisi in cui i progetti editoriali chiudono, è un sollievo vederne nascere di nuovi.
Parlando di progetti editoriali che chiudono, forse, è il caso di riproporre l’argomento Eurogamer Italia. Come forse molti di voi sanno, la sezione italiana di Eurogamer è stata chiusa definitivamente. L’annuncio è arrivato da un comunicato stampa pubblicato proprio sul sito ufficiale, con il quale viene annunciata la chiusura a causa dei “tempi cambiati” e ai “vincoli finanziari”.
Le circostanze sono quindi molto vaghe e se qualcun* che ha lavorato a Eurogamer ha interesse nel parlarci, in maniera completamente confidenziale, può raggiungerci su Instagram, su Telegram o, se preferisce, via mail (damianodagostino@protonmail.com).
Stefano Silvestri, direttore di Eurogamer Italia, ha scritto qualcosa di un po’ più specifico sulla questione sul suo profilo Facebook.
“Disagi in parte riconducibili al mutato assetto del settore di cui sopra ma anche al fatto che la testata è stata messa in secondo piano rispetto ad altre iniziative, sulla carta strategiche e sensate ma che purtroppo non hanno dato i risultati sperati. Per quanto un sito editorialmente solido e che va avanti per conto proprio possa indurre a distogliere lo sguardo in favore di nuovi business, Eurogamer Italia avrebbe richiesto maggiori attenzioni in questi ultimi anni. Purtroppo così non è accaduto e, come se ciò non fosse sufficiente, alcune tensioni all’interno della società che detiene la licenza italiana di Eurogamer Italia (che è un franchise) hanno portato a una vera e propria paralisi amministrativa, risoltasi solamente in tempi recenti, che ha finito per scaricarsi una volta di più sullo staff.”
Ci sono quindi state tensioni e dinamiche più profonde che hanno contribuito alla chiusura del sito. Da questo avvenimento, però, possiamo ugualmente riprendere un discorso su come mantenere un progetto editoriale online. Un quesito che non ha una risposta univoca, ovviamente, e le scelte possono variare a seconda della necessità del progetto. Prima di partire, però, è necessario mettere in chiaro un assunto che dobbiamo comprendere per poter in futuro affrontare questa discussione e capire come risolvere il problema assieme.
Come il giornalismo generalista, anche noi del giornalismo videoludico abbiamo perso la fiducia dell* lettor* e siamo in crisi a causa dei nostri modelli di business. Smettiamola di dare la colpa solo all* lettor* se qualcosa non viene compreso dalla nostra comunicazione. Se il messaggio che stiamo cercando di comunicare non passa nella maggior parte dei casi, allora c’è un problema nel nostro modo di comunicare, non in chi recepisce il messaggio. Anche sulla trasparenza siamo carenti, sia sulle paghe degli articoli, sul modo con cui affrontiamo le notizie, le rettifiche, la linea editoriale e, infine, il nostro “inquinare” i motori di ricerca con centinaia di notizie non aiuta l* lettor* ad orientarsi nel complesso mondo dell’informazione, soprattutto in un periodo di infodemia.
Sul lato del modello di business abbiamo il problema che gli attuali sistemi non permettono il sostentamento di un progetto online a meno che non si inseguano i click in continuazione. La maggior parte dei siti di videogiochi utilizza infatti modelli basati sulle pubblicità, alcuni anche con finanziamenti degli editori. Alcune realtà utilizzano un sistema di sottoscrizione opzionale, che rimuove le pubblicità. Non conosciamo invece progetti editoriali italiani di videogiochi che fanno uso di paywall (nel caso potete segnalarceli).
Quali altri metodi ci sono? Ce ne sono tanti a dire la verità. Quello che noi consigliamo è quello recentemente proposto dalla redazione di Slow News durante gli Slow News Days a Torino. Il giornalista Andrea Coccia, Slow News e La Revue Dessinèe Italia, ha proposto il modello della membership per sostenere l’attività di giornalismo, descrivendolo come un “contratto sociale stipulato tra una testata giornalistica e i suoi member”. L* lettor* finanziano il tuo progetto perché credono nella causa e gli articoli sono disponibili a tutti in modo gratuito. “Chi paga non vuole un recinto intorno al giornalismo che sta supportando” afferma durante la conferenza, aggiungendo anche che è possibile ricordare agli utenti che quel contenuto è gratuito perché c’è qualcun* che lo supporta. “Da una parte, i member che investono tempo, soldi, energie, conoscenze e contatti per sostenere la causa in cui credono” racconta Andra Coccia, “dall’altra, la testata giornalistica offre loro trasparenza e la possibilità di contribuire alla sua sostenibilità e al suo impatto”.
Sul discorso Eurogamer, per ampliare i punti di vista e il dibattito, vi consigliamo un recente editoriale di Massimiliano Di Marco su Insert Coin e un pezzo scritto da Lorenzo Fantoni per la sua newsletter HeavyMeta.
In conclusione a questo “breve” pensiero, ci teniamo a esprimere piena solidarietà ai giornalisti, alle giornaliste e all* giornalist* di Eurogamer Italia. Vi siamo vicin* e speriamo nel meglio per il vostro futuro personale e lavorativo.
Addio, Addio…
Signore, Signori e Signor*, anche questo nostro spettacolo giunge al termine, noi come al solito vi ringraziamo per il supporto e per la pazienza. Grazie a chi di voi è tornato e grazie a chi è qui per la prima volta.
Prima di salutarci però, un piccolo update sui nostri prossimi spettacoli: la nostra piccola compagnia sarà infatti alla Milan Games Week. Gironzoleremo per l’Indie Dungeon e se ci incontrate avvicinateci come si fa con i cerbiatti e non temete, saremo felici di vedervi e di scambiare quattro chiacchiere con voi.
Parlando di Indie e dell’evento, vi terremo aggiornati sul nostro canale Telegram e confezioneremo anche una newsletter apposita, una puntata speciale e diversa da quelle classiche. L’anno scorso avevamo invece scritto qualcosa di tradizionale, potete recuperare la puntata qui.
Ebbene ora è arrivato il momento di salutarci, per chi ci sarà ci vediamo alla Games Week, per tutt* l* altr* invece, beh, sempre qui su Still Alive o su Instagram. State bene e ricordatevi di ringraziare l’autista dell’autobus.
L'analisi di Ilaria su Inside mi ha colto molto perché anche io, interrogandomi al tempo sul gioco, sentivo una particolare comunicazione che mi sfuggiva. Non nel senso intellettuale, ma nel senso inafferrabile emotivo, come se mi avesse detto qualcosa in grado di scuotermi ma che non l'avessi colto totalmente. La letteratura mi ha un po' aiutato, io ci ho rivisto un po' di tematiche intimiste dall Trilogia dell'Area X, mi ha fatto riflettere parecchio! (Peccato non esserci alla GamesWeek, mi sarebbe piaciuto salutarvi con affetto! )