Edit: l’immagine di copertina di questa puntata su substack è stata modificata, poiché la precedente era stata creata attraverso una IA. Ci scusiamo per averne fatto utilizzo e ci uniamo alla richiesta di una regolamentazione. L’immagine di copertina utilizzata è una foto scattata da Pawel Janiak, disponibile su Unsplash.
Ho sempre considerato settembre un mese di cambiamento e potete vedere che in questa newsletter dei cambiamenti sono stati fatti nelle grafiche e nella palette. Ogni tanto è importante dare una rinfrescata. L’anno scorso, in questo mese, debuttava su questa newsletter la firma di Ilaria. Mi ricordo anche come andò (non che sia passato chissà quanto tempo). Avevo appena pubblicato la puntata di agosto e, guardando a ciò che avevo realizzato in quei mesi, mi sono detto che con la mia sola visione dell’arte e del mondo non avrei portato niente di nuovo nel panorama.
Esterno giorno, Bar.
Prendo il telefono e scorro tra le persone che seguo in ambito giornalistico. Mi ricordavo degli articoli che aveva scritto Ilaria su I Love Videogames e ammiravo il suo lavoro, leggevo il suo punto di vista ogni volta che ne avevo la possibilità. Immediatamente mi son detto che dovevo chiederle di collaborare, volevo collaborare con lei. Butto giù velocemente il caffè ustionandomi l’esofago e grazie al Wi-Fi del bar, che non era propriamente pubblico, le scrivo su Instagram. Dopo una chiacchierata mi manda il suo numero di telefono dicendo che tanto lo avrei potuto trovare nei bagni pubblici del mantovano (lo ha detto davvero). Da allora il progetto si è ampliato, è diventato nostro e lo stiamo portando avanti con la mente aperta e la curiosità di scoprire cosa potrà diventare.
Siamo diventati colleghi e amici, e confrontandoci continuamente per la scrittura dei pezzi ci siamo influenzati a vicenda, siamo cresciuti caratterialmente e professionalmente. A lei, personalmente, devo tanto. Ma siate certi che prima della fine di questa puntata della newsletter, Ilaria tenterà di smentire qualunque complimento nei suoi confronti. Fa sempre così!
Il 25 settembre si va a votare, rigorosamente all’apertura dei seggi così da evitare di incrociare i vecchi fasci. L’importante, ricordatelo, è non fare come Piero Pelù che si porta la penna da casa e che dimostra puntualmente di non aver capito una ceppa. Le matite copiative sono orgoglio italiano dal 1946, unica costante in tempi di crisi.
Viste le grafiche nuove? Tutto merito di quella bella persona di Camilla Fasola!
Nelle puntate precedenti…
Lo slow journalism vale anche per noi
5 minuti di lettura
Sono le tre di notte e da oltreoceano arriva una notizia. Un’azienda ha appena annunciato un nuovo gioco AAA, roba grossa che non può aspettare. Sul gioco non sappiamo niente, solo il titolo e un’immagine pubblicitaria, nulla di più. Quella notizia deve essere riportata, perché bisogna indicizzarsi sui motori di ricerca e l’indomani chi si sveglia per andare a lavoro se cerca il titolo del gioco su Google deve leggere il nostro articolo, non quello di un’altra testata. Deve darci il click, questa strana sostanza di cui ci nutriamo. Altrimenti ci siamo privati del sonno per niente.
Ma ora la parte più difficile: cosa si potrà mai scrivere in questo articolo per poter catturare l’attenzione dell* lettor*, ma senza avere nulla di più di quello che la stessa azienda ha comunicato? Facciamo un’ipotesi.
Azienda X ha appena annunciato il suo nuovo gioco Y, ma non si hanno ancora dettagli e hanno pubblicato solo un’immagine promozionale dalla quale si può capire ben poco dell’argomento del gioco e, insomma, dovremo aspettare altri dettagli come logico che sia. Ma possiamo lanciarci in qualche speculazione, ad esempio qualche rumor dice che potrebbe avere meccaniche viscerali e che punterebbe sull’immersività. Ad affermarlo è Lorem Ipsum, un insider su Twitter che però le altre volte che ha detto qualcosa ha ciccato completamente e magari sbaglia anche sta volta. O forse no, magari è la volta che ne prende una e forse vale la pena dargli ascolto. Insomma chi vivrà vedrà, giusto?
Ma parliamo dell’insider, quale sarà la sua domenica ideale? Cosa farà per tenersi in salute?
Dopo un grande annuncio gli articoli sono tutti molto simili, strilliamo ai quattro venti dell’internet le stesse identiche cose provenienti dai medesimi comunicati stampa. Che senso ha tutto ciò? Perché continuiamo ad inseguire una novità annunciata da un’azienda e che le persone possono, per l’appunto, apprendere dai canali ufficiali della suddetta azienda? Non c’è una motivazione logica dietro questa corsa alla notizia, eppure continuiamo a farlo, tutt*. Non ci piace questo ballo ma continuiamo a ballarlo, anche se ci pestiamo i piedi a vicenda senza un minimo di sincronia.
Dopo anni che ho passato in questo circolo vizioso, e dal quale non si può uscire del tutto, mi sono chiesto: ma possiamo rallentare? Che sia un annuncio di un’azienda o una notizia importantissima e che è necessario divulgare. Prendiamo un bel respiro e rallentiamo. L’importante non è quando arriviamo alla notizia, ma come ci arriviamo. Una volta tornato dalle vacanze ho cominciato a fare bingewatching di una serie. Era da un po’ che non lo facevo, ma questa me l’avevano consigliata a destra e sinistra e alla fine ho ceduto. E ho fatto bene.
The Newsroom è una serie che racconta le avventure di una redazione di giornalisti e del loro approccio alle notizie. Una frase che mi ha colpito particolarmente, e che ha colpito un po’ tutt* coloro che hanno visto la serie, viene pronunciata proprio alla fine della prima puntata della prima stagione. Charlie, il direttore del telegiornale interpretato da un magistrale Sam Waterson, parla al conduttore Will (Jeff Daniels), che fino a quel momento era un giornalista che riportava le notizie che facevano share e che attiravano il pubblico. Quella sera, però, la redazione riporta una notizia analizzandola punto per punto e approfondendola, fornendo un grande servizio. Versando due bicchieri di whiskey dopo la messa in onda, Charlie pronuncia delle parole che dovrebbero essere stampate nella testa di tutt* coloro che svolgono questo mestiere.
“Ai vecchi tempi, come dieci minuti fa, facevamo bei notiziari. Sai come? Decidendo di farli bene”
Una frase di grande impatto e che in questo periodo di infodemia galoppante risulta più importante che mai. Scegliamo di trattare bene le notizie e facciamo un buon lavoro. Ma come fare in un sistema che punta al SEO e alla velocità? Un concetto con cui sono entrato in contatto da qualche tempo è quello dello slow journalism, ovvero il giornalismo lento, che si prende il suo tempo per trattare gli argomenti e per approfondirli. Fare questo mestiere lo considero un impegno civile: un servizio importante per chi ci legge. Abbiamo una responsabilità e dobbiamo rendercene conto: una volta premuto il tasto “pubblica” le notizie hanno un impatto e le parole che abbiamo usato anche, veicolano un messaggio piuttosto che un altro.
Questo purtroppo è un circolo vizioso in cui siamo intrappolati, un loop. Vogliamo notizie e lo vogliamo ora, una bulimia dell’informazione e una diffusione tale che, al posto che chiarire le idee, confonde e rende molto più difficile comprendere il mondo, un’industria o una cultura. Riguarda il giornalismo in generale e, di conseguenza, anche quello legato ai videogiochi, che siano le notizie o le recensioni.
Ciò non significa che dobbiamo andare tutt* lenti, ma che è necessario diversificare l’informazione e provare a rallentare e trovare strumenti con cui fare un ottimo servizio, portando contenuti di qualità. Il click dell* lettor* deve arrivare perché li abbiamo interessati e abbiamo dato qualcosa che valesse la pena leggere, ci deve essere fiducia.
Un giornalismo libero e di qualità è fondamentale per una democrazia sana, e il nostro parlare di videogiochi e tecnologia non rende ciò che facciamo meno importante per l’utilità pubblica: parliamo di arte, futuro, diritti e persone. Ma questo sistema di giornalismo che si prende il proprio tempo e consegna informazione di qualità fa difficoltà a sostenersi se non sono per primi i lettor* a crederci e a pagare per quell’informazione. Alcuni dei progetti di slow journalism più famosi richiedono infatti un pagamento, abbastanza accessibile, per sostenere il progetto.
Dobbiamo cambiare la concezione che abbiamo dell’informazione e sarà una lunga battaglia.
Everything stays, but it still changes
4 minuti di lettura
L’estate è giunta al termine. Gli ombrelloni iniziano a migrare verso capannoni più riparati, le zanzare si rifiutano di lasciare il posto alle cimici, dando inizio alla contesa per le nostre abitazioni, e le abbronzature cominciano a spellarsi come i pomodori prima di fare la conserva.
Certo, c’è stato qualche minuscolo intoppo durante questi mesi, come livelli di siccità finora (finora) imbattuti, qualche bomba di calore che ha reso la vita un po’ complicata all’agricoltura e giusto tre o quattro alluvioni che hanno distrutto altrettante cittadine. Vabbè, dettagli insomma.
Per fortuna una cosa però è rimasta immutata, per ricordare a tutt* noi che – nel bene o nel male – le cose veramente importanti restano: stiamo per tornare a votare dopo una crisi di governo. Che bello. È un’abitudine alla quale è difficile rinunciare, come il caffè di prima mattina. Peccato per il reflusso gastrico.
Certo, ci ridiamo su per non piangere, soprattutto se guardiamo le varie campagne portate avanti dai partiti – tra Letta che serve le pizze e litiga con Calenda su Twitter, Forza Italia che fa spot con le casalinghe che stirano e passano l’aspirapolvere, Salvini che dice “la droga è merda” e poi consiglia liquori, Meloni che difende la fiamma tricolore perché “è tradizione” e Conte che “la politica va presa per le corna” accanto alla foto di una mucca – direi che si sono impegnat* a non far sembrare Sgarbiman la cosa più folle, tutto sommato.
Veniamo investit* da questo uragano confusionario che è il periodo di elezioni, fatto di proposte meravigliose ma infattibili dal punto di vista pratico, promesse che vanno a minare la libertà dell’individuo e – con preoccupante frequenza – la sua stessa dignità, programmi che paiono supercazzole che lo stesso conte Mascetti faticherebbe a gestire. E noi siamo qui, confus*, spaesat*, ma con la viva speranza che ci basterà seguire il sentiero lastricato di mattonelle gialle, analisi politiche e pagine meme per capire come tornare a quando il problema erano i tortellini al pollo. Solo che, passo dopo passo, le mattonelle iniziano a intervallarsi con il bitume, fino a tramutarsi in una interminabile colata d’asfalto nero.
Così come nel Mago di Oz (perché il sentiero dorato viene dal Mago di Oz… cioè, dai, era facile) Dorothy vede al suo termine la speranza di tornare a casa, in Road 96 ognun* di noi vede al suo termine quella libertà che viene dall’oltrepassare un confine e riottenere la libertà.
Non starò qui a parlare di dittatura, di giovani che fuggono, di guardie di confine, etc… Sono argomenti talmente espliciti nel gioco che parlarne pare quasi una banalità. Poi, insomma, al momento non stiamo proprio vivendo una situazione analoga, quindi è più facile rivederci situazioni come quella statunitense, quella nordcoreana o quella di Hong Kong (sempre con le dovute differenze, inutile a dirlo). Eppure, tra una battuta e l’altra sul lasciare l’Italia o il marciare ricoperta solo da drappi fucsia davanti a Palazzo Madama, una domanda è bene porsela: come reagirei io di fronte a una situazione come quella di Road 96?
Nel corso del gioco sono stata presa da una completa sfiducia nel sistema elettorale. Nonostante la senatrice Florres venisse costantemente presentata come una vivida speranza per uscire da quel groviglio di leggi dittatoriali portate avanti dal presidente “uscente” e ricandidato Tyrak, io non ce l’ho fatta a vederla come una via d’uscita. Vari* “me” sono mort* nel tentativo di raggiungere la fine di quella strada e oltrepassare quell’immenso muro che sembrava ritardare ogni giorno l’alba. Ho trattenuto il fiato cercando di nascondermi abusivamente in un furgone del trasporto merci, ho cercato di correre più velocemente dei cani da guardia, ho tentato di attraversare ponti fatiscenti sul nulla che si sgretolavano a ogni passo. Come potevo vedere nel “semplice” cambio di leadership una reale soluzione a tutto il dolore che provavo e vedevo lungo quella strada?
L’alternativa era la rivolta. Aiutare l* ribelli, aiutarl* a nascondersi, a mantenere i canali sicuri che avevano costruito per attraversare il confine, aiutarl* anche a piazzare dell’esplosivo sul picco montuoso adiacente il possente muro, così da provocare un crollo, decine e decine di probabili morti e l’inizio di una rivolta armata. Questa è l’alternativa che io ho scelto.
Che schifo.
Sì, che schifo, perché per arrivarci ho sentito tutto il vuoto che causa la perdita di speranza nel sistema politico; ho sentito tutta l’algoscia per un futuro che non solo avrei negato ad altr*, ma verso il quale non avevo alcuna certezza. Uno schifo plasmato da rabbia, speranza, amore e disperazione. Ma pur sempre uno schifo.
Non so cosa cambierà davvero dopo l’ennesima X su un partito in cui credo fortemente ma che si rivelerà essere una esigua minoranza. Non so cosa rimarrà di questi piccoli passi avanti che nella mia bolla social paiono così assodati, ma che scoppiano in un pomeriggio passato in piazza a volantinare. Non so quali parole diventeranno armi, e quali azioni saranno elette ad atti di pace.
Il 25 comunque tornerò al mio comune per votare, e nei prossimi giorni parteciperò come sempre a manifestazioni nonviolente. Male che vada, ehi, c’è sempre Google Maps, e la mia macchina è spaziosa.
Questa intervista merita attenzione
Non sono ver* amic* se non ti consigliano indie
No Longer Home, o dell’angoscia del futuro
Studia, trova un buon lavoro, assicurati un bel posto fisso, compra casa e qualcun* con cui costruire una famiglia. Questa è la ricetta perfetta per non avere più alcun pensiero, per poterti godere la serenità che solo le cose certe e immutabili della vita riescono a regalare.
Se qualcosa non va però attent*, perché è colpa tua. Non può essere la ricetta, la formula esatta, no; quella è infallibile. Sei tu.
No Longer Home parla di due persone che sentono di aver sbagliato qualcosa, perché si trovano sul precipizio di un cambiamento che non sanno o non vogliono gestire. Hanno terminato gli studi e non hanno di che poter vivere. Non hanno un lavoro certo, e nemmeno una solida prospettiva di fronte a sé. Ao e Bo devono abbandonare l’appartamento in cui hanno vissuto insieme, in cui si sono scopert* amic* e innamorat*.
Ao procrastina i bagagli, cerca di allontanare il dolore, di non affrontare il vuoto in cui un lieve soffio di vento potrebbe farl* cadere. Bo, invece, ha deciso che non può far nulla per cambiare ciò che lo aspetta.
Un gioco in cui il vero protagonista è un appartamento che racconta la storia e la vita di questi due individui, ormai larve di ciò che sono stati.
Sviluppator*: Humble Grove
Disponibile su: Nintendo Switch, Xbox One, Microsoft Windows, Linux, Macintosh operating systems
Prezzo: € 12,49
Durata: due ore
Collegh* fanno cose
Questo mese vogliamo dare massima visibilità all’inchiesta sui localizzator* di videogiochi portata avanti da Massimiliano di Marco sulla sua newsletter Insert Coin. Il lavoro di Massimiliano è importante, come importanti sono le testimonianze del* localizzator* che hanno voluto denunciare le condizioni del loro lavoro.
È un primo passo, nella speranza che si diffonda sempre di più la consapevolezza su questo tema e che cambino le cose. Date una lettura al pezzo ed iscrivetevi alla newsletter Insert Coin. Conosciamo Massimiliano e il suo modo di lavorare attento alle notizie. Abbiamo anche collaborato assieme per la stesura di questa bellissima puntata di Still Alive sulle barriere virtuali.
Addio, Addio…
Ok, tutto quello che Damiano ha scritto nell’introduzione è falso! Sia lui che Matilde non mi hanno dato possibilità di rimproverarl* e sbugiardarl* sui complimenti che mi fanno quindi allafacciaccialoro chiudo io la newsletter! Ha romanzato tutto, tranne forse la cosa del numero di telefono nei bagni pubblici. Semplicemente, in un momento di totale delirio da caffeina e peli di gatto, Damiano ha deciso di compiere un atto totalmente insensato e potenzialmente autodistruttivo, e mi ha scritto. Io, dal mio canto, ero in carenza di sonno e cercavo l’ennesimo impegno che avrebbe riempito le mie giornate per regalarmi quel dolce tepore che solo l’illusoria sensazione di non essere inutili riesce a regalare.
E dopo un anno, eccoci qui. Lui continua a negare quella sua pessima decisione, e io mi ostino a rompere ogni sua visione positiva della cosa.
Però su una cosa ha ragione: siamo migliorat*. Anzi, ci siamo migliorat* a vicenda. ANZI, ci siamo migliorat* tutt* e tre reciprocamente, perché qui, nei meandri oscuri di Still Alive, c’è anche Matilde.
E poi ci siete voi che - con adorabile cocciutaggine - continuate a leggerci, a commentare, a scriverci per discutere di quello che scriviamo e di ciò che tralasciamo. Dannazione, è tutto bellissimo.