Buon anno a tutt* e bentornat* su Still Alive!
Nonostante i postumi della notte dei The Game Awards, siamo riusciti a organizzarci per fare diversi cambiamenti a questa newsletter. Come avete sicuramente già notato, non stiamo più usando Mailchimp (bello ma non ci vivrei) ma stiamo usando il novello Substack, che ci dà, come autor*, più comodità e versatilità, mentre per voi è più semplice la consultazione del contenuto via mail e direttamente sul sito ufficiale di Still Alive.
Questo è il grosso cambiamento, ma ci sono altre novità proprio nel contenuto stesso della newsletter. In questo primo numero di gennaio potrete infatti notare che non c’è più la sezione “Leggi che ti fa bene”, e questo non perché abbiamo cominciato a credere il contrario, ma semplicemente perché prima di consigliarvelo vogliamo assicurarci di averlo letto bene noi. Era diventato molto difficile potervi dare un consiglio di letteratura videoludica al mese e abbiamo quindi deciso, non senza discussioni, di integrare la rubrica quando avremo libri da consigliare.
Ilarr: Secondo me dovremmo togliere “Leggi che ti fa bene”. Consigliamo un libro solo quando ne abbiamo effettivamente uno da consigliare.
Damians: Onesto.
La sezione “Colleghi fanno cose” è cambiata! Ci piaceva così tanto consigliare gli articoli di altre persone che abbiamo ben pensato di organizzare uno specchietto con gli articoli del mese che consigliamo. Ci sono tanti collegh* che scrivono articoli validi e fanno un ottimo lavoro di divulgazione, dare visibilità a tutt* è la scelta migliore.
Come al solito i disegni sono di quella splendida persona di Camilla Fasola, seguitela e fatevi un piacere.
Ed è con la voce tremolate, le gambe tremolanti e tutto tremolante che le dissi che i libri di Fabio Volo che stava cercando non erano più nella solita pila, tremolante. Eppure, sono sempre stati lì, di fianco alle barrette Large della Milka. Il mondo sta cambiando e noi con lui.
L’indie si sente inadeguato, ma ci piace
Quello delle produzioni indipendenti è un mondo incredibilmente più sfaccettato di quello che sembra: si oscilla tra l’ostentazione della propria indipendenza come elemento necessario per fare un bel videogioco, sino a un senso di inadeguatezza nei confronti di un mercato videoludico gigantesco, e che continua imperterrito a crescere. Forse abbiamo bisogno di fare un passo indietro, fermarci e riflettere su che cosa significhi essere indipendenti e di cosa significa, invece, essere “indie”, andando oltre la semplice abbreviazione.
Il termine indipendente è molto generico, poiché è difficile capire quale sfumatura si intenda quando lo si utilizza, e si possono avanzare declinazioni del termine senza per forza tradirne effettivamente il significato.
Volgendo uno sguardo ai The Game Awards di dicembre, non possiamo non domandarci con quali criteri abbiamo selezionato giochi piuttosto che altri. Nella descrizione della categoria Best Indie si parla di giochi creati al di fuori del tradizionale sistema dei publisher (anche se alcuni dei publisher dei giochi nominati sono quotati in borsa). Forse questo basta per essere considerati indipendenti, ma non per essere “indie”. C’è differenza tra le due cose, ed essere indipendenti non è una conditio sine qua non per essere considerati indie.
Secondo un paper di Maria B. Garda e Pawel Grabarczyk1 ci sono tre tipi di indipendenza all’interno dell’industria: l’indipendenza finanziaria, quella creativa e, infine, l’indipendenza nella pubblicazione. Come spiegano nello studio, l’indipendenza è sempre una questione di relazioni sociali, infatti siamo indipendenti da qualcosa o da qualcuno, che sia questa una grossa corporation o un insieme di individui che finanzia il nostro progetto.
Internet ha svolto un ruolo centrale nella crescita del mercato indipendente, perché ha progressivamente democraticizzato l’accesso alla pubblicazione, ma anche agli strumenti di produzione. Oggi è, infatti, possibile per molte persone produrre e pubblicare qualunque tipologia di opera, che sia questa musicale, cinematografica o videoludica.
Ciò significa che dovremmo essere più specifici quando parliamo di videogiochi indipendenti, perché le sfumature sono molteplici e il termine necessita quindi di chiarimenti ulteriori in fase di analisi e discussione. Il mercato indipendente è molto più accessibile, meno dispendioso rispetto a un qualunque AAA blasonato: produrne uno è una scelta politica a tutti gli effetti, con il tentativo di staccarsi dalle logiche produttive della grande industria, lontano da crunch e burnout. Ma il fattore di indipendenza sul quale bisognerebbe porre l’accento è quello creativo. Non tutti i titoli classificabili come indipendenti però osano nel gameplay o nella narrazione, molti di loro tendono e riprendere strutture ed estetica dei prodotti mainstream, senza innovare o criticare lo status quo. Ed è su questo fattore che si verifica la scissione tra ciò che è indipendente e ciò che è indie.
“Indie” è uno stile, un movimento culturale che punta ad innovare il medium, sperimentando nel design e nel portare tematiche sociali, filosofiche o politiche. Solo con questa prospettiva abbiamo apprezzato l’ebbrezza dell’innovazione che ha portato Hades ad evolvere la percezione che abbiamo dei roguelike, le critiche alla società patriarcale di Essays on Empathy, il gameplay ispirato ai flipper di Creature in the Well e il nuovo approccio di constellation storytelling sperimentato da Gold Club Wasteland.
Concependo l’indie come una corrente artistica nella diffusa forma d’arte videoludica, possiamo ampliare l’orizzonte e notare come questo movimento vada oltre il semplice concetto di indipendenza economica. Utilizzare il termine indie come semplice abbreviazione non aiuta la comprensione. Se un tempo tale utilizzo era accettato come vero per la coincidenza dei due fenomeni a livello storico, soprattutto nei primi anni del 2000, adesso non è più così.
Da allora il medium si è evoluto, l’industria anche, la consapevolezza e la diffusione del movimento indie pure: utilizzarlo come vent’anni fa è motivo di confusione e generalizzazione su due termini con significati e sfumature molto più profonde.
Il valore della menzogna
L’arte è finzione; è uno dei primi assiomi che si imparano. Per quanto l’arte possa cercare di mostrare la realtà o di raccontarla, c’è sempre qualcosa che la rende in qualche modo una bugia. Un’espressione chiusa all’interno della materialità del medium, e che non può fisicamente spingersi oltre quelle mura che servono per darle forma.
Ma il bello dell’arte è proprio questo, no? Non è realtà, ma riesce comunque a trasmettere concetti reali. È qualcosa di fittizio, ma è palpabile. Non è soggetta alle stesse regole naturali a cui dobbiamo sottostare noi, eppure muta, cresce e sembra avere sempre qualcosa da dire. Nonostante ciò, io continuo a imbattermi in persone che reputano l’arte di valore solo ed esclusivamente quando si avvicina a essere una fotocopia tecnica della realtà. L’arte che merita di essere tale solo se, guardandola - o, in generale, usufruendone -, si fatica a credere che sia opera di qualcun*.
Ora mi spiego meglio.
Tempo fa, riuscii a portare quello che era il mio compagno di allora a una mostra su Picasso. Fu davvero complicato convincerlo, perché lui era fermamente convinto che qualunque forma artistica avvenuta dopo il rinascimento fosse priva di qualunque valore. Lui guardava Picasso e vi vedeva uno scarabocchio. Il classico “potevo farlo anche io”. Durante tutta la mostra, cercai di spiegargli come l’intento di Picasso non fosse quello di rappresentare la realtà – a lui non interessava fare sfoggio di un’abilità tecnica di riproduzione – ma fosse quella di mostrare la prospettiva e lo scorrere del tempo. Cercava di catturare il tempo all’interno della tela. L’arte stava iniziando a perdere interesse su una rappresentazione realistica del mondo, e si avviava verso l’essere manifestazione di elementi ideali, pensieri filosofici, etici, tentativi di cattura e di studio scientifico di ciò che è ineffabile.
Uscit* dalla mostra, mi resi conto che non ero comunque riuscita a convincerlo. Per lui Raffaello aveva sempre più valore di Picasso. Non ho mai provato a parlargli di Mondrian o di Marina Abramovic, perché sicuramente avremmo finito per litigare.
Ultimamente questo tipo di atteggiamento lo vedo molto nella valutazione dei videogiochi. Nelle recensioni, o nelle discussioni riguardo i titoli, c’è un elogio smodato al “realismo tecnico”. Un elogio del tecnicismo, dell’abilità di riproduzione della realtà. E se tu provi a non sottolinearlo o a non dargli spazio, allora vieni subito, diciamo, sgridat*. L’emozione che l’opera ti trasmette, il come ti cambia o il come non è riuscita ad avere impatto su di te, il perché l* autor* ha creato quel prodotto, il cosa voleva dire, tutto passa in secondo piano. Certo, il fatto che un’opera sia realistica dal punto di vista tecnico può contribuire all’immedesimazione e all’impatto che ha su chi ne usufruisce, ma ecco, io sono quasi spaventata dall’idea di poter provare emozioni solo se posta di fronte a qualcosa che tenta di essere realtà.
Di The Last of Us Part II ricordo le mie lacrime di dolore e sollievo per la scelta finale di Ellie e Abby, e non per il movimento realistico dell’acqua. Se parte la colonna sonora di Gris io vedo i colori, così come guardando i quadri di Kandinskij sento la musica. Gioco a Kentucky Route Zero e poco importa se dei personaggi non ho mai visto i volti, perché il senso di rassegnazione al fallimento, di confusione e smarrimento verso una realtà che sembra collidere su se stessa - mostrandosi assurda e incomunicabile come i dipinti di Magritte - lo sento ancora sulla pelle.
C’è qualcosa di unico nelle menzogne capaci di delineare l’esistenza, che le rendono mille volte più potenti della realtà.
Before Your Eyes, in un battito di ciglia
Siamo sinceri: ci troviamo in difficoltà nel cercare di descrivervi cos’è Before Your Eyes in poche righe, e nell’elencarvi tutti i motivi che, per noi, rendono questo gioco un’esperienza che auguriamo a tutt* di provare. Se rimaniamo sul tecnico, Before Your Eyes è un videogame in prima persona che si gioca con la webcam accesa. I controller sono i nostri occhi, e le scene progrediscono ogni qualvolta si sbattono le palpebre.
Questa meccanica però non vuole essere semplicemente “particolare”, ma ha una sua spiegazione a livello narrativo. Voi siete un’anima che tra poco dovrà essere giudicata, e per permettere al vostro traghettatore di aiutarvi, dovete mostrargli la vostra vita ripercorrendola tramite brevi ricordi. Semplice, no? Certo, se non fosse che, per meno di due ore, sarete post* di fronte non solo alla vostra morte, ma osserverete i vostri cari soffrire nel tentativo di accettare una malattia; sperimenterete il senso di impotenza, e immaginerete il vostro dolore e la vostra reazione per la morte di una persona cara (quasi cercando di prepararvi all’eventualità).
E, in tutto questo, voi che siete di fronte a una webcam vi innervosirete e vi bruceranno gli occhi, perché non vorrete abbandonare quel ricordo e la persona che era con voi in quel momento. Ma Before Your Eyes cerca di mostrare anche questo: quanto sia delicato e limitato questo nostro guscio mortale.
Sviluppatore: GoodbyeWorld Games
Editore: Skybound Games
Disponibile su: PC
Durata: 2 ore circa
Indiependenza 2021
Lo scorso mese siamo stat* invitat* agli Indiependenza 2021, una cerimonia di premiazione indipendente organizzata dalla redazione di Gameromancer, per curare la sezione “videogiochi e giustizia sociale”. Era possibile seguire l’evento su Twitch, ma se ve lo siete perso potete tranquillamente andare a recuperarlo su YouTube. Durante la nostra comparsata abbiamo premiato, da una lista di videogiochi candidati, il titolo che, secondo noi, ha più influenzato e affrontato tematiche sociali importanti e che una volta giocato ci ha cambiat* come persone.
Ebbene abbiamo assegnato questo premio ad Essays on Empathy di Deconstructeam, un videogioco che si configura come un saggio e raccolta di tanti minigiochi con tematiche differenti, ma tutte collegate dalla necessità di essere empatici. È stata una scelta difficile, soprattutto perché anche Before Your Eyes si sarebbe meritato quella vittoria, ma alcuni dei minigiochi di Essays on Empathy sono troppo impattanti per non essere riconosciuti come si deve: Behind Every Great One e 11:45 A vivid life per citarne alcuni.
È stato un evento davvero incredibile ed è stato un piacere, e un onore, parlare di queste tematiche e condividere il palco virtuale con le redazioni di Stay Nerd, Indie Comune e, ovviamente, Gameromancer.
“The Game Awards, tutti i vincitori e i trailer” di Daniele Ferullo. Il buon Daniele di Nerd30, subito dopo aver concluso la live con noi alle cinque di mattina, è corso a scrivere un recap gigantesco sui premi e gli annunci avvenuti durante i The Game Awards. Se vi siete persi qualcosa visto l’orario, beh ecco a voi!
“L’OMS vuole inserire la dipendenza da videogiochi tra i disturbi riconosciuti: evidenze scientifiche o pressioni politiche?” di Viola Nicolucci. La neuro scienziata Viola Nicolucci firma per Valigia Blu un interessante approfondimento critico sulla recente scelta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il 2022 è iniziato e, come il buono e forse un po’ ingenuo venditore di almanacchi di Leopardi, anche noi stiamo fissando le nostre agende annuali ricche di pagine bianche, nella speranza di riempirle di progetti e scarabocchi, chiedendoci quale tra i giorni di questo nuovo anno sarà quello che ci cambierà la vita. Lasciateci sognare. Anche perché, in effetti, già abbiamo iniziato a scarabocchiarle e a riempirle di post-it e foglietti con idee e propositi nuovi. Siamo carich* e, almeno per un* di noi due, non è totalmente merito della caffeina.
Nel giro di pochi mesi abbiamo visto il numero di adesioni a Still Alive crescere e mai diminuire. Decine e decine di persone che, ogni mese, aprono questa newsletter e la leggono, dandoci poi feedback, pareri, discutendo con noi idee ed eventi. Non riusciamo davvero a trovare le parole per farvi capire quanto per noi tutto ciò sia incredibile.
E quindi ecco, grazie per esservi imbarcat* con noi in questo progetto.
Quest’anno sarà davvero pieno di novità; alcune magari falliranno dopo poche settimane, altre invece chissà.
Come al solito, vi ricordiamo che abbiamo un meraviglioso canale Telegram in cui pubblichiamo contenuti brevi e notizie lampo, e in cui potete interagire con altr* meraviglios* folli che seguono Still Alive.
Grazie ancora per supportare, e sopportare, il nostro modo di fare giornalismo. Un giorno presenteremo il conto, e solo in quel momento potrete urlare: facciamo alla romana!
Is Every Indie Game Indipendent? Towards the Concept of Indipendent Game di Maria B. Garda, Paweł Grabarczyk
Felicissimo di aver scoperto questa newsletter :D Ho adorato la parte sul valore della menzogna e molto piacevole la chiarificazione sul termine Indie. Looking forward per la prossima lettera.
Substack è uno splendido passo avanti raga, articoli sempre precisi e un sacco interessanti. 💚